Coordinate Antropologiche

Coordinate antropologiche del Centro Studi e Ricerche interdisciplinari Salus Hominis

    1.Principi e fondamenti antropologici 

1.1. Esplicitare principi e fondamenti

Il rischio di esplicitare principi e fondamenti è quello di essere «etichettati» o peggio di rendere il confronto un «scontro» con chi ha riferimenti e principi diversi. La scorciatoia è quella di escludere l’altro come soggetto non compatibile con i nostri principi. L’approccio interdisciplinare non prevede scorciatoie, ma capacità d’ascolto fondata sul rispetto dell’altro e sul confronto delle idee, guidate anche da principi diversi, ma obbligate al confronto nell’unica strada percorribile della razionalità: l’uso della ragione per analizzare i dati e interpretarli. È lecito avere principi guida differenti che giungono a interpretazioni diverse dei dati, ma non è corretto modificare i dati per renderli compatibili con i propri principi o interpretare dati insufficienti con l’obbiettivo implicito o esplicito di contrapporsi ai principi dell’altro. Spesso quando si accostano modelli scientifici differenti, si assiste ad un dialogo impossibile, dove principi e fondamenti della propria ermeneutica consistono nel dimostrare l’infondatezza dei principi dell’altro.

Viceversa il rischio di non esplicitare i principi e fondamenti è quello di lasciare il tutto nella indeterminatezza, confondendo il vero dialogo con la cordialità pacifica animata dal principio assoluto del relativismo, dove tutto è possibile, tutto è dicibile, tutto si riduce a possibili interpretazioni.

  • Premessa

Per qualsiasi approccio all’uomo, sia esso di tipo religioso, filosofico o scientifico, vale il principio che dietro ad ogni concezione antropologica vi è sempre una cosmovisione (weltangshaung) più o meno esplicita, un modo di intendere la realtà in cui viviamo, le cui conseguenze si riversano sulla comprensione dell’essere umano. La questione dell’origine – che il mondo sia stato fatto da Dio o dal caso – ha un grande valore e incide profondamente sullo svolgimento della nostra vita,[1] poiché conduce alla verità su noi stessi oppure alla menzogna ed orienta conseguentemente tutto il nostro pensare ed agire. In altre parole, non possiamo rispondere con verità alla domanda: «Che cosa devo fare?», se prima non ci chiediamo: «Chi sono io?» e: «Da dove vengo?», affrontando così la questione dell’essere.

L’apparente complessità dei vari approcci alla problematica dell’origine dell’uomo da parte della filosofia e delle altre scienze e le notevoli sfumature di pensiero all’interno di ogni disciplina, possono essere ricondotte a due opposti modelli di lettura della realtà. Il primo rifiuta la creazione come dipendenza da Dio e rivendica una autonomia assoluta del mondo e della vita. In tale contesto l’uomo si erge a «creatore», non già del mondo esistente, ma del mondo ancora da «creare», mediante la trasformazione della materia.

All’opposto troviamo il modello cristiano che è opzione per la creazione in senso stretto. Esso accetta l’essere come una cosa ricevuta e dipendente dall’Amore. In questo senso la dipendenza creaturale non ha nulla di degradante per l’uomo, perché non è «diminuzione» di sé e non implica una visione concorrenziale e conflittuale del rapporto con l’altro.

Siamo coscienti che l’attuale panorama culturale, filosofico e scientifico si presenta tendenzialmente ostile all’idea di creazione,[2] perciò la nostra scelta metodologica di fondo non vuole precludere il dialogo con coloro che, nei vari ambiti di studio e di ricerca, adottano differenti antropologie, ma intende gettare un ponte verso coloro che seriamente si interrogano sull’origine e sulla natura dell’uomo e sono alla ricerca della verità; inoltre vuole contribuire a fornire qualche chiarificazione per districarsi nel ginepraio delle innumerevoli scuole di pensiero che influenzano la realtà contemporanea e per instaurare un confronto aperto e un dialogo costruttivo tra le varie discipline.

  • L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio

Il concetto basilare di «immagine di Dio» con cui l’uomo viene definito dalla teologia cristiana rimanda essenzialmente all’espressione biblica del Libro della Genesi: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). L’uomo è una creatura che riceve il suo essere da Dio, il quale ha creato tutte le cose per amore ed ha disposto che l’uomo fosse la sola creatura visibile «capace di conoscere e amare il suo Creatore».[3] In quanto immagine di Dio, l’uomo è dotato per sua natura di specifiche facoltà o funzioni che lo rendono atto ad entrare in relazione personale sia con le realtà visibili (mondo materiale) sia con quelle invisibili (mondo spirituale). L’uomo, infatti, è un essere unitario costituito di anima e corpo, in cui i due co-princìpi del suo essere formano un’unità così profonda da determinare una sola natura umana: il corpo materiale è corpo umano in quanto vivificato dall’anima e, viceversa, l’anima spirituale è anima umana in quanto sostiene e dà vita al corpo.[4] La persona umana è in grado di conoscere e di conoscersi, di distinguere il bene dal male, di donarsi liberamente per gli altri, soprattutto possiede in sé un anelito alla verità e alla felicità senza fine (beatitudine). Alla base di questo dinamismo vi sono le facoltà interiori dell’intelligenza e della volontà che qualificano peculiarmente le relazioni dell’individuo con il mondo visibile, con le altre persone, con il mondo spirituale e quello propriamente divino. Una visione integrale dell’uomo non può prescindere dalla sua capacità di entrare in un «dialogo» personale con il suo Creatore, attraverso la risposta libera a quella «alleanza» offertagli da Dio sin dal momento della sua creazione e rinnovata lungo i secoli in varie forme, fino alla «pienezza dei tempi», in cui Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio, nato da donna, perché ricevessimo l’adozione a figli (cf Gal 4,5). Cristo Gesù – Verbo (Logos) incarnato – è la vera «immagine di Dio» ad immagine e somiglianza del quale ogni uomo è stato creato; in Lui (vero uomo e vero Dio, Figlio Unigenito del Padre) si attua una specialissima comunione di amore col Padre nello Spirito Santo, alla quale, per suo mezzo, tutti gli uomini sono chiamati: «In realtà solamente nel Mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo».[5] Tale comunione di amore col Padre può realizzarsi nell’uomo quando lo Spirito Santo si unisce alla persona per «elevare» le sue facoltà alla conoscenza e all’amore di Dio, attraverso il dinamismo delle virtù teologali (fede, speranza e carità), ponendo così le basi per la ricostruzione di quella somiglianza originaria con Dio nella quale era stato creato.[6]

Anche la libertà personale – espressione dell’altissima dignità dell’uomo – è radicata nell’intima costituzione dell’essere umano. Essa non è indipendenza assoluta dell’individuo, ma una responsabilità nei confronti del proprio essere, ricevuto in dono dal Creatore, che esige un agire coerente. Paradossalmente, la vera libertà consiste nell’«obbedienza», nella rinuncia alla volontà «propria» (ossia ad un agire totalmente autoreferenziale, che non si addice alla condizione di creatura), per aderire pienamente alla Verità.

  • L’uomo «ferito» nella sua totalità (la malattia e la morte; l’«annebbiamento» e la «cecità», la diffidenza e la ribellione)

Sin dall’origine della sua storia, «l’uomo, tentato dal Maligno, ha abusato della propria libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui».[7] L’uso distorto della libertà è la vera alienazione dell’uomo, che non solo lo porta ad essere schiavo dei falsi idoli, ma ne sfigura l’immagine originaria.

Ancora oggi, nel corso della sua vita, l’uomo fa esperienza in vari modi di un certo disordine delle relazioni personali, sociali e spirituali, quasi una lacerazione, causata da una ferita profonda prodotta nell’intimo del suo essere dal peccato originale. Di questa ferita è segno la fragilità della sua condizione corporale, percepibile anzitutto nell’ambito della salute fisica che può facilmente essere perduta a motivo della malattia, ma soprattutto in relazione al termine della sua esistenza terrena, realtà alla quale egli non si può sottrarre: l’intima unità che costituisce e determina la persona è continuamente minacciata dalla morte fisica (che è separazione tra corpo e anima), di fronte alla quale l’uomo si sente del tutto indifeso ed avverte tutta la drammaticità della sua esistenza, non potendo in alcun modo impedirne la realizzazione. Anche l’armonia interiore tra i suoi sentimenti, la sua volontà e la sua intelligenza è alterata: spesso l’uomo si chiude in se stesso, proiettandosi esclusivamente sui suoi bisogni e compromettendo così il suo rapporto con gli altri; molte volte, pur riconoscendo teoricamente il bene, si sente attratto in concreto da ciò che bene non è, ed è costretto a farsi violenza per piegare la sua natura alle esigenze della giustizia, dell’onestà, della carità. Non di rado, nella sua interiorità, con la quale trascende tutte le cose create, l’uomo prova un senso di insoddisfazione, non trovando ciò che è in grado di appagare in modo duraturo e definitivo la sua ricerca di felicità. La concupiscenza, poi, lo porta a desiderare le cose piacevoli, in modo sregolato, anche oltrepassando i limiti della ragione, generando in lui avidità e cupidigia verso i beni terreni (materiali) e verso il potere. A livello spirituale, l’uomo sa di non vivere più nell’amicizia con Dio, poiché la ferita del peccato ha fatto perdere all’uomo anche la sua somiglianza col Creatore, cioè la sua comunione profonda con Lui, basata sulla conoscenza di Dio e del suo amore misericordioso. Questa dimensione può essere recuperata soltanto attraverso il dono dello Spirito Santo, che guida l’uomo alla conoscenza della verità su se stesso e su Dio e gli apre le porte della vita trinitaria.

Proprio a motivo di questa sua condizione storica, l’uomo si trova maggiormente soggetto alle seduzioni di Satana, il quale cerca di distoglierlo dal suo fine ultimo (dal Bene). Lo spirito maligno, padre della menzogna e principe di questo mondo, pur agendo in vario modo sulla natura esistente, e in specifico sul corpo umano, ha come suo intento principale quello di rompere il legame vitale che l’uomo ha con il divino «albero della vita» (cf Gen 2,9), che è la grazia di Dio. Per raggiungere questo fine, cerca di condurre l’uomo al peccato, sfruttando anzitutto la concupiscenza, ossia quella tendenza disordinata a soddisfare i piaceri terreni.

  • L’uomo liberato nella Verità (la «razionale» ricerca della verità; la «conoscenza» della Verità; il Logos «luce» che rischiara le «tenebre»; la difesa della Verità è la difesa dell’Uomo)

In ogni campo conoscitivo l’uomo indaga per giungere ad una verità (scientifica) provata attraverso lo «strumento» della ragione. Nuove scoperte scientifiche aprono a nuove ipotesi scientifiche. Anche in campo filosofico l’amore per la conoscenza conduce l’uomo ad indagare razionalmente per conoscere la verità sulle cose, sull’uomo, sulle domande ultime dell’uomo. Si indaga ponendosi con chiarezza domande che cercano risposte. In ambito teologico si indaga sulla vita dell’uomo facendosi un’idea del mistero di Dio o si indaga sulla Rivelazione di Dio per farsi un’idea di chi è l’uomo.

La Verità ci è data o è di fronte a noi per poterla conoscere attraverso l’uso della ragione. Questo metodo logico si applica per le scienze positive, per le filosofie, per le teologie.

La fonte da cui partire per ragionare sull’uomo e sul mondo è l’auto-rivelazione di Dio contenuta nella Sacra Scrittura e interpretata autenticamente dalla Chiesa Cattolica che àncora i suoi insegnamenti e il suo interpretare nell’autorità della Tradizione testimoniata dai Padri della Chiesa. Questo non significa vivere nel passato, ma piuttosto vivificare il presente attingendo alla Verità immutabile della Rivelazione.

Come cercare la verità? Come dialogare ragionando?

La ragione è indispensabile, ma occorre un atto di fede per mezzo della volontà. Questo atto di fede non può avvenire per costrizione, ma nella piena libertà; per questo la fede non si può imporre, ma proporre. Anche tentare di convincere con la ragione non garantisce il risultato perché è sempre necessario un atto di fede in quanto la ragione da sola non comprende il mistero. Dunque, la ragione è il mezzo per conoscere e dialogare, ma da sola non è in grado di conoscere Colui che l’ha creata.

Un dato biblico paradigmatico è che la realtà è creata per mezzo del Logos e in vista del Logos.[8] Attraverso la ragione posso conoscere l’esistenza di Dio e distinguere il bene dal male in virtù della legge naturale iscritta dal creatore nella creazione. Su questa base si inserisce il dialogo con altri modelli teologici, filosofici e scientifici. A prescindere dalla fede, all’uomo è data la capacità di dialogo con un altro uomo che la pensa diversamente, nella ricerca comune della Verità che è indipendente da ciò che pensa l’uno o l’altro. È la Rivelazione stessa ad affermare che la Verità è compatibile con la ragione. La razionalità è il metodo universale per dialogare, per conoscere, per scoprire nuove realtà appartenenti alla Verità, ma a noi ancora non chiare o sconosciute. Questo è valore basilare in tutti i campi conoscitivi: teologici, filosofici, scientifici.

  • Unità e distinzione del composto umano (L’unità corpo e anima include la dimensione spirituale che si distingue dalla dimensione psichica)

Non perdersi nel mare di parole dette e scritte per definire o descrivere l’essere umano è la premessa per cercare di conoscere e delineare la complessità della creatura umana. Non si tratta di cercare un modello teorico che sia nuovo o che sia maggiormente accettato da tutti, né si tratta di appagare l’intelletto su ciò che resta mistero mai conosciuto appieno e mai compreso dall’uomo stesso.

L’umiltà di riconoscere che non siamo i primi ad indagare la natura umana, fa rivolgere il nostro sguardo alla sapienza sull’uomo scritta nei testi dei Padri della Chiesa, dei Santi e dei mistici Dottori della Chiesa. La questione antropologica, nella sua vasta panoramica, veniva svelata attraverso l’esperienza della vita di fede e secondariamente tematizzata nel processo di inculturazione con il mondo pagano e la filosofia dei greci. Senza eccessive semplificazioni, i Padri e i Dottori della Chiesa, da sant’Agostino a san Tommaso, da sant’Evagrio Pontico a san Giovanni della Croce, con linguaggi e in contesti differenti, hanno avuto convergenze recepite ancora oggi dal Magistero della Chiesa e da quella che possiamo chiamare «antropologia cristiana». L’esistenza dell’anima e questa unita al corpo è sempre stata affermata, a cominciare dal primato dell’anima sul corpo in attesa della risurrezione, passando per l’unità riaffermata di sinolo (sintesi di materia e forma), fino all’attuale visione olistica dell’uomo; essa è un punto fermo dell’antropologia cristiana che è stato messo in discussione solo nell’età moderna con l’affermazione del biologico sullo psichico e delle emozioni e pulsioni sulla dimensione più propriamente spirituale.

Una questione di fondo è l’ambiguità semantica del termine psiché o anima; l’anima è di natura spirituale e le sue facoltà, intelletto, volontà e memoria sono unite al corpo; ma se per «psiche» intendiamo non l’anima come è intesa filosoficamente, bensì le sue facoltà nella loro dimensione relazionale intrapsichica o sistemica, dobbiamo necessariamente distinguere la natura spirituale dell’uomo dalla natura psichica. La dimensione psichica non coincide con la dimensione spirituale dell’uomo; sebbene i modelli laici di pensiero occidentale, in molti casi, si irrigidiscano nell’affermare che la natura animale dell’uomo si distingue dagli animali solamente per una più complessa dimensione psichica o per una struttura biologica più evoluta, la maggior parte degli esseri umani cerca il senso del suo essere uomo in dimensioni che superano il biologico e lo psichico. Questo avviene nel senso religioso insito nelle culture dell’india e dell’Indocina, nel mondo islamico e nel mondo cristiano in senso ampio, nelle culture occidentali cosiddette «evolute» attraverso la magia, l’esoterismo, la superstizione, nell’animismo dei popoli africani e dei culti afro-brasiliani, nel culto dei morti in Cina. Certo, tutto può essere interpretato da un’unica lente focale (quella dell’occidentale evoluto e del mondo degli altri in evoluzione verso chi è evoluto), ma sembra più improbabile e irrazionale affermare l’assenza dell’anima nell’uomo che constatarne l’evidenza.

Da questo ragionevole dubbio, che l’anima esista davvero, passiamo ad affermare che l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio ha una sua natura spirituale che lo rende capace di relazionarsi con Dio, di rinnovare il rapporto con i suoi simili e di vivificare la sua dimensione personale più profonda. Il dono di Dio che è Spirito Santo, rivelato in Cristo dall’amore del Padre, è quel raggio di luce che ci permette di conoscere la natura spirituale dell’uomo creato.

In breve, la dimensione psichica dell’uomo va distinta dalla dimensione spirituale per comprenderne meglio tutte le dinamiche  e non scivolare in facili riduzionismi e approcci pseudo-scientifici.

  • L’uomo tra la possibilità e la presenza del male

La storia dell’uomo (tanto del singolo, quanto dell’intera umanità), insieme ai germi di bene di cui è disseminata, porta con sé la presenza misteriosa del male, che si può cogliere nelle varie forme di ingiustizia, odio, malvagità, distruzione, violenza, ecc. La creatura umana, essendo dotata di libertà, è in grado di compiere azioni degne di lode e di approvazione (come l’amore sincero per il prossimo e la dedizione alla famiglia), ma può anche dare spazio a comportamenti meritevoli di biasimo e di condanna (come la soppressione della vita innocente ed indifesa).

Per rappresentare l’insieme delle «forze del male» che segnano purtroppo negativamente la nostra esistenza, spesso si fa ricorso al diavolo (Satana) come un simbolo utilizzato per indicare globalmente quanto di «umano» tende in vario modo al male.

Accanto e oltre alla funzione simbolica che il termine diavolo può assumere, bisogna riconoscere che il modo comune di intendere la presenza del Maligno – anche nelle culture non ancora permeate dalla fede ebraico-cristiana – attribuisce ad esso un significato personale. In particolare la Sacra Scrittura evidenzia l’identità creaturale di Satana e lo presenta come un essere spirituale che si oppone radicalmente ed irrevocabilmente al disegno di Dio.

In quanto creatura, Satana è soggetto alle leggi naturali che regolano la creazione; in quanto spirito (essere personale dotato di intelligenza e volontà, ma non di un proprio corpo fisico) è capace di compiere azioni che oltrepassano la sfera dell’umano e si collocano accanto ad essa (azioni preternaturali). Satana può intervenire nel mondo umano sempre e soltanto secondo le leggi della creazione, ma spesso, superando l’attuale capacità di comprensione e di azione dell’uomo, può ottenere effetti che appaiono straordinari e prodigiosi. Inoltre, agendo sulla materia, può influire sul corpo dell’uomo e attraverso questo raggiungere le facoltà dell’anima; agendo sulla psiche può proporre all’uomo immagini fantasiose o suscitare pensieri ossessivi per arrecare ad essa turbamento, per offuscarla, indebolirla e distoglierla dal compimento del bene.

Tuttavia, egli non può costringere l’uomo al male, ma soltanto incitare ad esso attraverso una paziente ed ingegnosa opera di seduzione, comunemente detta tentazione (cf Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13; 1Pt 5,8); può impossessarsi di un corpo umano, ma non può prendere direttamente il possesso della volontà umana, se questa non gli viene consegnata dalla persona stessa. Egli si serve della corporeità e della concupiscenza per cercare di piegare la volontà dell’uomo al peccato e condurlo al rifiuto sempre più esplicito di Dio, ma questo necessita il consenso deliberato dell’uomo alla volontà perversa che Satana gli propone.

Proprio a motivo della sua ostinata ed irrimediabile malvagità (dovuta alla definitiva determinazione al male), Satana non è una creatura dotata di libertà – intesa come capacità di scegliere liberamente il bene – poiché è vincolato al male e da esso dipende: egli non «vuol volere» il bene.

Sebbene il suo potere sulla creazione sia molto grande, tanto da essere definito «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11), non si deve pensare che esso sia un potere assoluto, illimitato. La sua natura creata lo pone in condizione di essere soggetto a Dio in tutto (cf Gb 1,9-12; 2,4-7; Mt 8,27-34) e nonostante il peccato dell’uomo, che ha aperto e apre continuamente la porta al dominio di Satana, il Figlio di Dio è venuto nel mondo per redimere l’uomo, liberandolo dal potere delle tenebre (cf Col 1,13) e distruggendo le opere di Satana (1Gv 3,8).

La contrapposizione radicale tra Dio e Satana non è da intendersi in senso manicheo come una lotta tra il principio universale del bene e quello del male, ma come il «fallimento» di una creatura di fronte al suo Creatore. La vittoria di Dio su Satana è già decretata, anche se non ancora pienamente compiuta: è la vittoria della Croce, il trionfo dell’amore misericordioso su ogni forma di male, (sull’amore egoistico e sull’interesse personale che dimentica la giustizia, la dignità umana, il dovere, la gloria di Dio e il bene altrui); un amore che, nonostante tutto, rimane in eterno uguale ed identico a se stesso e che nulla può esaurire o diminuire, neanche il suo rifiuto definitivo da parte delle creature.

Gli esorcismi compiuti da Gesù Cristo dimostrano la superiorità di Dio sul demonio e la sottomissione di questi al volere di Dio. L’azione di Satana non si oppone in modo assoluto al disegno salvifico di Dio, ma al contrario evidenzia la potenza e la misericordia del Signore, che interviene nella storia per soccorrere e salvare l’uomo caduto nel peccato e assoggettato al dominio del regno delle tenebre (cf Ef 2,2; At 10,38; 26,18).

  • L’azione unificante della grazia (Cammino di santità e di comunione con Dio; il combattimento spirituale; i doni mistici)

All’azione distruttrice e disgregante del peccato e del diavolo si contrappone l’azione unificante e santificatrice della grazia divina che opera invisibilmente in tutti gli uomini di buona volontà, ma che agisce con particolare efficacia in coloro che esplicitamente accolgono nella fede il dono dello Spirito Santo, comunicato da Cristo agli Apostoli e trasmesso nella Chiesa mediante i Sacramenti. Il cristiano riceve nel battesimo le «primizie dello Spirito» (Rm 8,23), in virtù del quale tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, in attesa della definitiva «redenzione del corpo» (ibid.) che porterà a compimento la piena conformazione all’immagine del Figlio, risorto a vita nuova e asceso al Cielo con il suo corpo umano.[9] La vocazione alla vita eterna, superando le capacità dell’intelligenza umana e le forze della volontà dell’uomo, dipende interamente dall’iniziativa gratuita di Dio, poiché Egli solo può rivelarsi e donare se stesso,[10] ma essa richiede anche la libera risposta dell’uomo, con la quale ci si dispone alla conversione, cioè alla piena guarigione dalle conseguenze delle ferite prodotte nella natura umana dal peccato originale e da quelli personali. Con il Battesimo l’uomo «rinasce» a vita nuova, partecipando alla vita divina (la vita stessa di Cristo), non però in modo pieno e perfetto, ma come un seme che deve crescere e svilupparsi. Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo, alla quale tutti sono chiamati: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità»;[11] soltanto ad alcuni, però, sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa unione (p. es. rivelazioni, visioni, locuzioni, stigmate) e ciò allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito concesso a tutti i battezzati.[12]

«Questa unione si chiama “mistica”, perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – “i santi misteri” – e, in Lui, al mistero della Santissima Trinità».[13]

Il dono della grazia, accolto nell’intimo del proprio cuore, può essere mantenuto e perfezionato soltanto a prezzo di una continua lotta al peccato e di un esercizio costante delle virtù, poiché l’uomo che lo riceve, a causa della sua natura ferita, porta in sé la radice dei vizi ed è segnato profondamente dalla attrattiva dei sensi esterni ed interni (concupiscenza). A questo combattimento interiore si aggiunge l’azione del demonio che cerca di impedire, nei limiti intrinseci della sua natura creata e di quelli impostigli da Dio, il progresso della persona nel cammino di comunione con Dio. Il conflitto interiore tra sì a Dio e no al peccato e al demonio può essere deteriorante se vissuto solo sul piano psicologico. È importante che il cristiano non viva questo combattimento come uno sforzo esclusivo della volontà e dell’intelletto, ma che si apra alla dimensione propriamente spirituale, per lasciare agire in lui la grazia dello Spirito Santo. Il combattimento fondato sull’impegno ascetico che sia soltanto di tipo morale e psichico, potrebbe condurre anche a gravi patologie quali la nevrosi, la depressione o la cachessia. Per crescere nella carità (unione con Dio) è necessario ascoltare assiduamente la Parola di Dio per assimilarla nella fede, partecipare ai Sacramenti per ricevere la grazia divina e il conforto spirituale, applicarsi costantemente alla preghiera come dialogo con Dio, all’abnegazione di sé in ciò che contrasta con l’amore di Cristo, all’attivo servizio dei fratelli secondo gli impegni della propria condizione. 

Lo Spirito Santo muove interiormente i credenti ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze e ad amare il prossimo come Cristo ha amato e a tal fine può concedere doni e grazie speciali chiamati «carismi» il cui esercizio è finalizzato alla santificazione personale e al bene comune della Chiesa. Il dono mistico non è indice di santità o di privilegio e neanche un «premio di fedeltà» che l’uomo può ottenere mediante l’esercizio ascetico, ma dipende unicamente dalla libera disposizione di Dio che, attraverso di esso, chiama colui che lo riceve a corrispondere con maggiore impegno e responsabilità ad una specifica vocazione. Il carisma non può essere considerato una conquista o un merito personale da esibire di fronte agli altri, ma non può neanche rimanere nascosto; deve essere messo a completa disposizione del disegno di Dio per la comune (propria e altrui) santificazione, in atteggiamento di semplicità ed umiltà che conduce ad una sempre più profonda conversione.

  • Diagnosi e discernimento spirituale

Discernere il bene morale dal male morale non è ancora discernere spiritualmente. Il primo significato di discernimento spirituale, desunto dall’esperienza e tradizione ignaziana, è discernere tra un bene e il bene per me; la decisione deve essere presa liberamente dalla persona, ma se il soggetto che cerca il bene per sé decide autonomamente senza confrontarsi con il volere di Dio, regredisce nella sua capacità di discernere fino a confondere il bene morale con il male morale, rendendo impossibile anche solo porsi il problema del discernimento spirituale. Conoscere il volere di Dio per decidere il bene per me tra tante possibilità di scelte buone è un primo contenuto del termine discernimento spirituale.

Un secondo significato, argomentato dall’esperienza e tradizione carmelitana che supera la distinzione tra il bene e il male morale, è discernere l’azione di Dio o l’azione del demonio nella vita spirituale del soggetto. Questo ulteriore significato semantico del termine apre dunque ad una ulteriore analisi della realtà spirituale, con cui il soggetto si relaziona quando si mette in rapporto con la dimensione spirituale che trascende se stesso. Si tratta di discernere l’azione di Dio nell’anima e gli inganni del demonio, per procedere nel sano cammino spirituale e riconoscere le esperienze mistiche per andare oltre, verso Colui che le ha causate.

Il discernimento spirituale nella mistica e nella demonologia si è gradualmente ridotto nella prassi cristiana a vantaggio del discernimento morale oggi ampliato dalle istanze della morale sociale ed ecologica. Confondendo il piano psicologico relazionale con quello più propriamente spirituale, l’azione «spirituale» dell’uomo consisterebbe nel fare del bene, nel fare qualche cosa per gli altri, magari in nome di Dio per esserne più sicuri. A questo gap desolante che vive il mondo culturale cattolico e più ampiamente quello di matrice cristiana, si aggiunge il ventaglio di psicologie e modelli di pensiero che a priori negano l’esistenza di altro che non sia psichico; di conseguenza l’approccio non può che essere una terapia psicologica o psichiatrica per chi dichiara di avere esperienze «mistiche» o «demoniache». Tra isteria e schizofrenia il DSM4 cataloga ogni patologia, disinteressandosi del diverso contenuto semantico della cultura cristiana e della realtà culturale e antropologica che è più ampia e non così facilmente catalogabile. Anche il metodo scientifico richiede di considerare le categorie ermeneutiche dell’altro.

A giudizio della tradizione Cattolica, la mancanza di vera fede e di sana ed equilibrata espressione di essa, devia l’uomo verso forme di esoterismo, di superstizione e di ricerca del religioso come un prodotto di mercato, «venduto» da gruppi e sette con la «garanzia» della felicità e dell’autorealizzazione o anche dell’autodivinizzazione. In questo scenario è necessario farsi carico delle reali forme di disgregazione della psiche umana, individuando modelli terapeutici di crescita personale e spirituale rispettosi della libertà umana. Al contesto culturale occidentale, post-cristiano o anti-cristiano si associa un processo di globalizzazione e di acculturazione dove si mischiano forme inconsuete di religiosità o di altre antiche tradizioni religiose. La diagnosi e il discernimento si fanno più complessi e chiedono punti fermi per un’apertura ermeneutica attenta ai sintomi e al malessere di tutta la dimensione dell’uomo, psichica e spirituale.

    2. Metodologia per lo studio e l’interpretazione della natura umana  […]