Coordinate antropologiche 

Centro Studi e Ricerche interdisciplinari

Salus Hominis

  1. Principi e fondamenti antropologici 

1.1. Esplicitare principi e fondamenti

Il rischio di esplicitare principi e fondamenti è quello di essere «etichettati» o peggio di rendere il confronto un «scontro» con chi ha riferimenti e principi diversi. La scorciatoia è quella di escludere l’altro come soggetto non compatibile con i nostri principi. L’approccio interdisciplinare non prevede scorciatoie, ma capacità d’ascolto fondata sul rispetto dell’altro e sul confronto delle idee, guidate anche da principi diversi, ma obbligate al confronto nell’unica strada percorribile della razionalità: l’uso della ragione per analizzare i dati e interpretarli. È lecito avere principi guida differenti che giungono a interpretazioni diverse dei dati, ma non è corretto modificare i dati per renderli compatibili con i propri principi o interpretare dati insufficienti con l’obbiettivo implicito o esplicito di contrapporsi ai principi dell’altro. Spesso quando si accostano modelli scientifici differenti, si assiste ad un dialogo impossibile, dove principi e fondamenti della propria ermeneutica consistono nel dimostrare l’infondatezza dei principi dell’altro.

Viceversa il rischio di non esplicitare i principi e fondamenti è quello di lasciare il tutto nella indeterminatezza, confondendo il vero dialogo con la cordialità pacifica animata dal principio assoluto del relativismo, dove tutto è possibile, tutto è dicibile, tutto si riduce a possibili interpretazioni.

  • Premessa

Per qualsiasi approccio all’uomo, sia esso di tipo religioso, filosofico o scientifico, vale il principio che dietro ad ogni concezione antropologica vi è sempre una cosmovisione (weltangshaung) più o meno esplicita, un modo di intendere la realtà in cui viviamo, le cui conseguenze si riversano sulla comprensione dell’essere umano. La questione dell’origine – che il mondo sia stato fatto da Dio o dal caso – ha un grande valore e incide profondamente sullo svolgimento della nostra vita,[1] poiché conduce alla verità su noi stessi oppure alla menzogna ed orienta conseguentemente tutto il nostro pensare ed agire. In altre parole, non possiamo rispondere con verità alla domanda: «Che cosa devo fare?», se prima non ci chiediamo: «Chi sono io?» e: «Da dove vengo?», affrontando così la questione dell’essere.

L’apparente complessità dei vari approcci alla problematica dell’origine dell’uomo da parte della filosofia e delle altre scienze e le notevoli sfumature di pensiero all’interno di ogni disciplina, possono essere ricondotte a due opposti modelli di lettura della realtà. Il primo rifiuta la creazione come dipendenza da Dio e rivendica una autonomia assoluta del mondo e della vita. In tale contesto l’uomo si erge a «creatore», non già del mondo esistente, ma del mondo ancora da «creare», mediante la trasformazione della materia.

All’opposto troviamo il modello cristiano che è opzione per la creazione in senso stretto. Esso accetta l’essere come una cosa ricevuta e dipendente dall’Amore. In questo senso la dipendenza creaturale non ha nulla di degradante per l’uomo, perché non è «diminuzione» di sé e non implica una visione concorrenziale e conflittuale del rapporto con l’altro.

Siamo coscienti che l’attuale panorama culturale, filosofico e scientifico si presenta tendenzialmente ostile all’idea di creazione,[2] perciò la nostra scelta metodologica di fondo non vuole precludere il dialogo con coloro che, nei vari ambiti di studio e di ricerca, adottano differenti antropologie, ma intende gettare un ponte verso coloro che seriamente si interrogano sull’origine e sulla natura dell’uomo e sono alla ricerca della verità; inoltre vuole contribuire a fornire qualche chiarificazione per districarsi nel ginepraio delle innumerevoli scuole di pensiero che influenzano la realtà contemporanea e per instaurare un confronto aperto e un dialogo costruttivo tra le varie discipline.

  • L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio

Il concetto basilare di «immagine di Dio» con cui l’uomo viene definito dalla teologia cristiana rimanda essenzialmente all’espressione biblica del Libro della Genesi: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). L’uomo è una creatura che riceve il suo essere da Dio, il quale ha creato tutte le cose per amore ed ha disposto che l’uomo fosse la sola creatura visibile «capace di conoscere e amare il suo Creatore».[3] In quanto immagine di Dio, l’uomo è dotato per sua natura di specifiche facoltà o funzioni che lo rendono atto ad entrare in relazione personale sia con le realtà visibili (mondo materiale) sia con quelle invisibili (mondo spirituale). L’uomo, infatti, è un essere unitario costituito di anima e corpo, in cui i due co-princìpi del suo essere formano un’unità così profonda da determinare una sola natura umana: il corpo materiale è corpo umano in quanto vivificato dall’anima e, viceversa, l’anima spirituale è anima umana in quanto sostiene e dà vita al corpo.[4] La persona umana è in grado di conoscere e di conoscersi, di distinguere il bene dal male, di donarsi liberamente per gli altri, soprattutto possiede in sé un anelito alla verità e alla felicità senza fine (beatitudine). Alla base di questo dinamismo vi sono le facoltà interiori dell’intelligenza e della volontà che qualificano peculiarmente le relazioni dell’individuo con il mondo visibile, con le altre persone, con il mondo spirituale e quello propriamente divino. Una visione integrale dell’uomo non può prescindere dalla sua capacità di entrare in un «dialogo» personale con il suo Creatore, attraverso la risposta libera a quella «alleanza» offertagli da Dio sin dal momento della sua creazione e rinnovata lungo i secoli in varie forme, fino alla «pienezza dei tempi», in cui Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio, nato da donna, perché ricevessimo l’adozione a figli (cf Gal 4,5). Cristo Gesù – Verbo (Logos) incarnato – è la vera «immagine di Dio» ad immagine e somiglianza del quale ogni uomo è stato creato; in Lui (vero uomo e vero Dio, Figlio Unigenito del Padre) si attua una specialissima comunione di amore col Padre nello Spirito Santo, alla quale, per suo mezzo, tutti gli uomini sono chiamati: «In realtà solamente nel Mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo».[5] Tale comunione di amore col Padre può realizzarsi nell’uomo quando lo Spirito Santo si unisce alla persona per «elevare» le sue facoltà alla conoscenza e all’amore di Dio, attraverso il dinamismo delle virtù teologali (fede, speranza e carità), ponendo così le basi per la ricostruzione di quella somiglianza originaria con Dio nella quale era stato creato.[6]

Anche la libertà personale – espressione dell’altissima dignità dell’uomo – è radicata nell’intima costituzione dell’essere umano. Essa non è indipendenza assoluta dell’individuo, ma una responsabilità nei confronti del proprio essere, ricevuto in dono dal Creatore, che esige un agire coerente. Paradossalmente, la vera libertà consiste nell’«obbedienza», nella rinuncia alla volontà «propria» (ossia ad un agire totalmente autoreferenziale, che non si addice alla condizione di creatura), per aderire pienamente alla Verità.

  • L’uomo «ferito» nella sua totalità (la malattia e la morte; l’«annebbiamento» e la «cecità», la diffidenza e la ribellione)

Sin dall’origine della sua storia, «l’uomo, tentato dal Maligno, ha abusato della propria libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui».[7] L’uso distorto della libertà è la vera alienazione dell’uomo, che non solo lo porta ad essere schiavo dei falsi idoli, ma ne sfigura l’immagine originaria.

Ancora oggi, nel corso della sua vita, l’uomo fa esperienza in vari modi di un certo disordine delle relazioni personali, sociali e spirituali, quasi una lacerazione, causata da una ferita profonda prodotta nell’intimo del suo essere dal peccato originale. Di questa ferita è segno la fragilità della sua condizione corporale, percepibile anzitutto nell’ambito della salute fisica che può facilmente essere perduta a motivo della malattia, ma soprattutto in relazione al termine della sua esistenza terrena, realtà alla quale egli non si può sottrarre: l’intima unità che costituisce e determina la persona è continuamente minacciata dalla morte fisica (che è separazione tra corpo e anima), di fronte alla quale l’uomo si sente del tutto indifeso ed avverte tutta la drammaticità della sua esistenza, non potendo in alcun modo impedirne la realizzazione. Anche l’armonia interiore tra i suoi sentimenti, la sua volontà e la sua intelligenza è alterata: spesso l’uomo si chiude in se stesso, proiettandosi esclusivamente sui suoi bisogni e compromettendo così il suo rapporto con gli altri; molte volte, pur riconoscendo teoricamente il bene, si sente attratto in concreto da ciò che bene non è, ed è costretto a farsi violenza per piegare la sua natura alle esigenze della giustizia, dell’onestà, della carità. Non di rado, nella sua interiorità, con la quale trascende tutte le cose create, l’uomo prova un senso di insoddisfazione, non trovando ciò che è in grado di appagare in modo duraturo e definitivo la sua ricerca di felicità. La concupiscenza, poi, lo porta a desiderare le cose piacevoli, in modo sregolato, anche oltrepassando i limiti della ragione, generando in lui avidità e cupidigia verso i beni terreni (materiali) e verso il potere. A livello spirituale, l’uomo sa di non vivere più nell’amicizia con Dio, poiché la ferita del peccato ha fatto perdere all’uomo anche la sua somiglianza col Creatore, cioè la sua comunione profonda con Lui, basata sulla conoscenza di Dio e del suo amore misericordioso. Questa dimensione può essere recuperata soltanto attraverso il dono dello Spirito Santo, che guida l’uomo alla conoscenza della verità su se stesso e su Dio e gli apre le porte della vita trinitaria.

Proprio a motivo di questa sua condizione storica, l’uomo si trova maggiormente soggetto alle seduzioni di Satana, il quale cerca di distoglierlo dal suo fine ultimo (dal Bene). Lo spirito maligno, padre della menzogna e principe di questo mondo, pur agendo in vario modo sulla natura esistente, e in specifico sul corpo umano, ha come suo intento principale quello di rompere il legame vitale che l’uomo ha con il divino «albero della vita» (cf Gen 2,9), che è la grazia di Dio. Per raggiungere questo fine, cerca di condurre l’uomo al peccato, sfruttando anzitutto la concupiscenza, ossia quella tendenza disordinata a soddisfare i piaceri terreni.

  • L’uomo liberato nella Verità (la «razionale» ricerca della verità; la «conoscenza» della Verità; il Logos «luce» che rischiara le «tenebre»; la difesa della Verità è la difesa dell’Uomo)

In ogni campo conoscitivo l’uomo indaga per giungere ad una verità (scientifica) provata attraverso lo «strumento» della ragione. Nuove scoperte scientifiche aprono a nuove ipotesi scientifiche. Anche in campo filosofico l’amore per la conoscenza conduce l’uomo ad indagare razionalmente per conoscere la verità sulle cose, sull’uomo, sulle domande ultime dell’uomo. Si indaga ponendosi con chiarezza domande che cercano risposte. In ambito teologico si indaga sulla vita dell’uomo facendosi un’idea del mistero di Dio o si indaga sulla Rivelazione di Dio per farsi un’idea di chi è l’uomo.

La Verità ci è data o è di fronte a noi per poterla conoscere attraverso l’uso della ragione. Questo metodo logico si applica per le scienze positive, per le filosofie, per le teologie.

La fonte da cui partire per ragionare sull’uomo e sul mondo è l’auto-rivelazione di Dio contenuta nella Sacra Scrittura e interpretata autenticamente dalla Chiesa Cattolica che àncora i suoi insegnamenti e il suo interpretare nell’autorità della Tradizione testimoniata dai Padri della Chiesa. Questo non significa vivere nel passato, ma piuttosto vivificare il presente attingendo alla Verità immutabile della Rivelazione.

Come cercare la verità? Come dialogare ragionando?

La ragione è indispensabile, ma occorre un atto di fede per mezzo della volontà. Questo atto di fede non può avvenire per costrizione, ma nella piena libertà; per questo la fede non si può imporre, ma proporre. Anche tentare di convincere con la ragione non garantisce il risultato perché è sempre necessario un atto di fede in quanto la ragione da sola non comprende il mistero. Dunque, la ragione è il mezzo per conoscere e dialogare, ma da sola non è in grado di conoscere Colui che l’ha creata.

Un dato biblico paradigmatico è che la realtà è creata per mezzo del Logos e in vista del Logos.[8] Attraverso la ragione posso conoscere l’esistenza di Dio e distinguere il bene dal male in virtù della legge naturale iscritta dal creatore nella creazione. Su questa base si inserisce il dialogo con altri modelli teologici, filosofici e scientifici. A prescindere dalla fede, all’uomo è data la capacità di dialogo con un altro uomo che la pensa diversamente, nella ricerca comune della Verità che è indipendente da ciò che pensa l’uno o l’altro. È la Rivelazione stessa ad affermare che la Verità è compatibile con la ragione. La razionalità è il metodo universale per dialogare, per conoscere, per scoprire nuove realtà appartenenti alla Verità, ma a noi ancora non chiare o sconosciute. Questo è valore basilare in tutti i campi conoscitivi: teologici, filosofici, scientifici.

  • Unità e distinzione del composto umano (L’unità corpo e anima include la dimensione spirituale che si distingue dalla dimensione psichica)

Non perdersi nel mare di parole dette e scritte per definire o descrivere l’essere umano è la premessa per cercare di conoscere e delineare la complessità della creatura umana. Non si tratta di cercare un modello teorico che sia nuovo o che sia maggiormente accettato da tutti, né si tratta di appagare l’intelletto su ciò che resta mistero mai conosciuto appieno e mai compreso dall’uomo stesso.

L’umiltà di riconoscere che non siamo i primi ad indagare la natura umana, fa rivolgere il nostro sguardo alla sapienza sull’uomo scritta nei testi dei Padri della Chiesa, dei Santi e dei mistici Dottori della Chiesa. La questione antropologica, nella sua vasta panoramica, veniva svelata attraverso l’esperienza della vita di fede e secondariamente tematizzata nel processo di inculturazione con il mondo pagano e la filosofia dei greci. Senza eccessive semplificazioni, i Padri e i Dottori della Chiesa, da sant’Agostino a san Tommaso, da sant’Evagrio Pontico a san Giovanni della Croce, con linguaggi e in contesti differenti, hanno avuto convergenze recepite ancora oggi dal Magistero della Chiesa e da quella che possiamo chiamare «antropologia cristiana». L’esistenza dell’anima e questa unita al corpo è sempre stata affermata, a cominciare dal primato dell’anima sul corpo in attesa della risurrezione, passando per l’unità riaffermata di sinolo (sintesi di materia e forma), fino all’attuale visione olistica dell’uomo; essa è un punto fermo dell’antropologia cristiana che è stato messo in discussione solo nell’età moderna con l’affermazione del biologico sullo psichico e delle emozioni e pulsioni sulla dimensione più propriamente spirituale.

Una questione di fondo è l’ambiguità semantica del termine psiché o anima; l’anima è di natura spirituale e le sue facoltà, intelletto, volontà e memoria sono unite al corpo; ma se per «psiche» intendiamo non l’anima come è intesa filosoficamente, bensì le sue facoltà nella loro dimensione relazionale intrapsichica o sistemica, dobbiamo necessariamente distinguere la natura spirituale dell’uomo dalla natura psichica. La dimensione psichica non coincide con la dimensione spirituale dell’uomo; sebbene i modelli laici di pensiero occidentale, in molti casi, si irrigidiscano nell’affermare che la natura animale dell’uomo si distingue dagli animali solamente per una più complessa dimensione psichica o per una struttura biologica più evoluta, la maggior parte degli esseri umani cerca il senso del suo essere uomo in dimensioni che superano il biologico e lo psichico. Questo avviene nel senso religioso insito nelle culture dell’india e dell’Indocina, nel mondo islamico e nel mondo cristiano in senso ampio, nelle culture occidentali cosiddette «evolute» attraverso la magia, l’esoterismo, la superstizione, nell’animismo dei popoli africani e dei culti afro-brasiliani, nel culto dei morti in Cina. Certo, tutto può essere interpretato da un’unica lente focale (quella dell’occidentale evoluto e del mondo degli altri in evoluzione verso chi è evoluto), ma sembra più improbabile e irrazionale affermare l’assenza dell’anima nell’uomo che constatarne l’evidenza.

Da questo ragionevole dubbio, che l’anima esista davvero, passiamo ad affermare che l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio ha una sua natura spirituale che lo rende capace di relazionarsi con Dio, di rinnovare il rapporto con i suoi simili e di vivificare la sua dimensione personale più profonda. Il dono di Dio che è Spirito Santo, rivelato in Cristo dall’amore del Padre, è quel raggio di luce che ci permette di conoscere la natura spirituale dell’uomo creato.

In breve, la dimensione psichica dell’uomo va distinta dalla dimensione spirituale per comprenderne meglio tutte le dinamiche  e non scivolare in facili riduzionismi e approcci pseudo-scientifici.

  • L’uomo tra la possibilità e la presenza del male

La storia dell’uomo (tanto del singolo, quanto dell’intera umanità), insieme ai germi di bene di cui è disseminata, porta con sé la presenza misteriosa del male, che si può cogliere nelle varie forme di ingiustizia, odio, malvagità, distruzione, violenza, ecc. La creatura umana, essendo dotata di libertà, è in grado di compiere azioni degne di lode e di approvazione (come l’amore sincero per il prossimo e la dedizione alla famiglia), ma può anche dare spazio a comportamenti meritevoli di biasimo e di condanna (come la soppressione della vita innocente ed indifesa).

Per rappresentare l’insieme delle «forze del male» che segnano purtroppo negativamente la nostra esistenza, spesso si fa ricorso al diavolo (Satana) come un simbolo utilizzato per indicare globalmente quanto di «umano» tende in vario modo al male.

Accanto e oltre alla funzione simbolica che il termine diavolo può assumere, bisogna riconoscere che il modo comune di intendere la presenza del Maligno – anche nelle culture non ancora permeate dalla fede ebraico-cristiana – attribuisce ad esso un significato personale. In particolare la Sacra Scrittura evidenzia l’identità creaturale di Satana e lo presenta come un essere spirituale che si oppone radicalmente ed irrevocabilmente al disegno di Dio.

In quanto creatura, Satana è soggetto alle leggi naturali che regolano la creazione; in quanto spirito (essere personale dotato di intelligenza e volontà, ma non di un proprio corpo fisico) è capace di compiere azioni che oltrepassano la sfera dell’umano e si collocano accanto ad essa (azioni preternaturali). Satana può intervenire nel mondo umano sempre e soltanto secondo le leggi della creazione, ma spesso, superando l’attuale capacità di comprensione e di azione dell’uomo, può ottenere effetti che appaiono straordinari e prodigiosi. Inoltre, agendo sulla materia, può influire sul corpo dell’uomo e attraverso questo raggiungere le facoltà dell’anima; agendo sulla psiche può proporre all’uomo immagini fantasiose o suscitare pensieri ossessivi per arrecare ad essa turbamento, per offuscarla, indebolirla e distoglierla dal compimento del bene.

Tuttavia, egli non può costringere l’uomo al male, ma soltanto incitare ad esso attraverso una paziente ed ingegnosa opera di seduzione, comunemente detta tentazione (cf Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13; 1Pt 5,8); può impossessarsi di un corpo umano, ma non può prendere direttamente il possesso della volontà umana, se questa non gli viene consegnata dalla persona stessa. Egli si serve della corporeità e della concupiscenza per cercare di piegare la volontà dell’uomo al peccato e condurlo al rifiuto sempre più esplicito di Dio, ma questo necessita il consenso deliberato dell’uomo alla volontà perversa che Satana gli propone.

Proprio a motivo della sua ostinata ed irrimediabile malvagità (dovuta alla definitiva determinazione al male), Satana non è una creatura dotata di libertà – intesa come capacità di scegliere liberamente il bene – poiché è vincolato al male e da esso dipende: egli non «vuol volere» il bene.

Sebbene il suo potere sulla creazione sia molto grande, tanto da essere definito «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11), non si deve pensare che esso sia un potere assoluto, illimitato. La sua natura creata lo pone in condizione di essere soggetto a Dio in tutto (cf Gb 1,9-12; 2,4-7; Mt 8,27-34) e nonostante il peccato dell’uomo, che ha aperto e apre continuamente la porta al dominio di Satana, il Figlio di Dio è venuto nel mondo per redimere l’uomo, liberandolo dal potere delle tenebre (cf Col 1,13) e distruggendo le opere di Satana (1Gv 3,8).

La contrapposizione radicale tra Dio e Satana non è da intendersi in senso manicheo come una lotta tra il principio universale del bene e quello del male, ma come il «fallimento» di una creatura di fronte al suo Creatore. La vittoria di Dio su Satana è già decretata, anche se non ancora pienamente compiuta: è la vittoria della Croce, il trionfo dell’amore misericordioso su ogni forma di male, (sull’amore egoistico e sull’interesse personale che dimentica la giustizia, la dignità umana, il dovere, la gloria di Dio e il bene altrui); un amore che, nonostante tutto, rimane in eterno uguale ed identico a se stesso e che nulla può esaurire o diminuire, neanche il suo rifiuto definitivo da parte delle creature.

Gli esorcismi compiuti da Gesù Cristo dimostrano la superiorità di Dio sul demonio e la sottomissione di questi al volere di Dio. L’azione di Satana non si oppone in modo assoluto al disegno salvifico di Dio, ma al contrario evidenzia la potenza e la misericordia del Signore, che interviene nella storia per soccorrere e salvare l’uomo caduto nel peccato e assoggettato al dominio del regno delle tenebre (cf Ef 2,2; At 10,38; 26,18).

  • L’azione unificante della grazia (Cammino di santità e di comunione con Dio; il combattimento spirituale; i doni mistici)

All’azione distruttrice e disgregante del peccato e del diavolo si contrappone l’azione unificante e santificatrice della grazia divina che opera invisibilmente in tutti gli uomini di buona volontà, ma che agisce con particolare efficacia in coloro che esplicitamente accolgono nella fede il dono dello Spirito Santo, comunicato da Cristo agli Apostoli e trasmesso nella Chiesa mediante i Sacramenti. Il cristiano riceve nel battesimo le «primizie dello Spirito» (Rm 8,23), in virtù del quale tutto l’uomo viene interiormente rinnovato, in attesa della definitiva «redenzione del corpo» (ibid.) che porterà a compimento la piena conformazione all’immagine del Figlio, risorto a vita nuova e asceso al Cielo con il suo corpo umano.[9] La vocazione alla vita eterna, superando le capacità dell’intelligenza umana e le forze della volontà dell’uomo, dipende interamente dall’iniziativa gratuita di Dio, poiché Egli solo può rivelarsi e donare se stesso,[10] ma essa richiede anche la libera risposta dell’uomo, con la quale ci si dispone alla conversione, cioè alla piena guarigione dalle conseguenze delle ferite prodotte nella natura umana dal peccato originale e da quelli personali. Con il Battesimo l’uomo «rinasce» a vita nuova, partecipando alla vita divina (la vita stessa di Cristo), non però in modo pieno e perfetto, ma come un seme che deve crescere e svilupparsi. Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo, alla quale tutti sono chiamati: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità»;[11] soltanto ad alcuni, però, sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa unione (p. es. rivelazioni, visioni, locuzioni, stigmate) e ciò allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito concesso a tutti i battezzati.[12]

«Questa unione si chiama “mistica”, perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – “i santi misteri” – e, in Lui, al mistero della Santissima Trinità».[13]

Il dono della grazia, accolto nell’intimo del proprio cuore, può essere mantenuto e perfezionato soltanto a prezzo di una continua lotta al peccato e di un esercizio costante delle virtù, poiché l’uomo che lo riceve, a causa della sua natura ferita, porta in sé la radice dei vizi ed è segnato profondamente dalla attrattiva dei sensi esterni ed interni (concupiscenza). A questo combattimento interiore si aggiunge l’azione del demonio che cerca di impedire, nei limiti intrinseci della sua natura creata e di quelli impostigli da Dio, il progresso della persona nel cammino di comunione con Dio. Il conflitto interiore tra sì a Dio e no al peccato e al demonio può essere deteriorante se vissuto solo sul piano psicologico. È importante che il cristiano non viva questo combattimento come uno sforzo esclusivo della volontà e dell’intelletto, ma che si apra alla dimensione propriamente spirituale, per lasciare agire in lui la grazia dello Spirito Santo. Il combattimento fondato sull’impegno ascetico che sia soltanto di tipo morale e psichico, potrebbe condurre anche a gravi patologie quali la nevrosi, la depressione o la cachessia. Per crescere nella carità (unione con Dio) è necessario ascoltare assiduamente la Parola di Dio per assimilarla nella fede, partecipare ai Sacramenti per ricevere la grazia divina e il conforto spirituale, applicarsi costantemente alla preghiera come dialogo con Dio, all’abnegazione di sé in ciò che contrasta con l’amore di Cristo, all’attivo servizio dei fratelli secondo gli impegni della propria condizione. 

Lo Spirito Santo muove interiormente i credenti ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze e ad amare il prossimo come Cristo ha amato e a tal fine può concedere doni e grazie speciali chiamati «carismi» il cui esercizio è finalizzato alla santificazione personale e al bene comune della Chiesa. Il dono mistico non è indice di santità o di privilegio e neanche un «premio di fedeltà» che l’uomo può ottenere mediante l’esercizio ascetico, ma dipende unicamente dalla libera disposizione di Dio che, attraverso di esso, chiama colui che lo riceve a corrispondere con maggiore impegno e responsabilità ad una specifica vocazione. Il carisma non può essere considerato una conquista o un merito personale da esibire di fronte agli altri, ma non può neanche rimanere nascosto; deve essere messo a completa disposizione del disegno di Dio per la comune (propria e altrui) santificazione, in atteggiamento di semplicità ed umiltà che conduce ad una sempre più profonda conversione.

  • Diagnosi e discernimento spirituale

Discernere il bene morale dal male morale non è ancora discernere spiritualmente. Il primo significato di discernimento spirituale, desunto dall’esperienza e tradizione ignaziana, è discernere tra un bene e il bene per me; la decisione deve essere presa liberamente dalla persona, ma se il soggetto che cerca il bene per sé decide autonomamente senza confrontarsi con il volere di Dio, regredisce nella sua capacità di discernere fino a confondere il bene morale con il male morale, rendendo impossibile anche solo porsi il problema del discernimento spirituale. Conoscere il volere di Dio per decidere il bene per me tra tante possibilità di scelte buone è un primo contenuto del termine discernimento spirituale.

Un secondo significato, argomentato dall’esperienza e tradizione carmelitana che supera la distinzione tra il bene e il male morale, è discernere l’azione di Dio o l’azione del demonio nella vita spirituale del soggetto. Questo ulteriore significato semantico del termine apre dunque ad una ulteriore analisi della realtà spirituale, con cui il soggetto si relaziona quando si mette in rapporto con la dimensione spirituale che trascende se stesso. Si tratta di discernere l’azione di Dio nell’anima e gli inganni del demonio, per procedere nel sano cammino spirituale e riconoscere le esperienze mistiche per andare oltre, verso Colui che le ha causate.

Il discernimento spirituale nella mistica e nella demonologia si è gradualmente ridotto nella prassi cristiana a vantaggio del discernimento morale oggi ampliato dalle istanze della morale sociale ed ecologica. Confondendo il piano psicologico relazionale con quello più propriamente spirituale, l’azione «spirituale» dell’uomo consisterebbe nel fare del bene, nel fare qualche cosa per gli altri, magari in nome di Dio per esserne più sicuri. A questo gap desolante che vive il mondo culturale cattolico e più ampiamente quello di matrice cristiana, si aggiunge il ventaglio di psicologie e modelli di pensiero che a priori negano l’esistenza di altro che non sia psichico; di conseguenza l’approccio non può che essere una terapia psicologica o psichiatrica per chi dichiara di avere esperienze «mistiche» o «demoniache». Tra isteria e schizofrenia il DSM4 cataloga ogni patologia, disinteressandosi del diverso contenuto semantico della cultura cristiana e della realtà culturale e antropologica che è più ampia e non così facilmente catalogabile. Anche il metodo scientifico richiede di considerare le categorie ermeneutiche dell’altro.

A giudizio della tradizione Cattolica, la mancanza di vera fede e di sana ed equilibrata espressione di essa, devia l’uomo verso forme di esoterismo, di superstizione e di ricerca del religioso come un prodotto di mercato, «venduto» da gruppi e sette con la «garanzia» della felicità e dell’autorealizzazione o anche dell’autodivinizzazione. In questo scenario è necessario farsi carico delle reali forme di disgregazione della psiche umana, individuando modelli terapeutici di crescita personale e spirituale rispettosi della libertà umana. Al contesto culturale occidentale, post-cristiano o anti-cristiano si associa un processo di globalizzazione e di acculturazione dove si mischiano forme inconsuete di religiosità o di altre antiche tradizioni religiose. La diagnosi e il discernimento si fanno più complessi e chiedono punti fermi per un’apertura ermeneutica attenta ai sintomi e al malessere di tutta la dimensione dell’uomo, psichica e spirituale.

  1. Metodologia per lo studio e l’interpretazione della natura umana

2.1. La ricerca di un metodo

I principi e i valori descritti nel precedente paragrafo costituiscono la premessa conoscitiva dell’essere umano in chiave di antropologia cristiana; per approfondirli e soprattutto per favorire un confronto con altri soggetti cristiani e no, si ritiene non solo utile, ma anche necessario sviluppare una metodologia di lavoro, seguita per l’articolazione del convegno, che tenta di assumere un approccio multidisciplinare con frammenti di interdisciplinarità per lo studio e l’interpretazione della natura e della creatura umana.

2.2. La necessità dell’interdisciplinarietà

Conoscere l’essere umano e intraprendere azioni con lui e verso di lui implica non solo l’assunzione di responsabilità, ma anche la consapevolezza e l’umiltà di fare un cammino di avvicinamento lento e progressivo per comprendere la diversità dei suoi modi di essere nella sua realtà complessa e multidimensionale. Ancora più delicata diventa la questione quando alla comprensione e all’analisi si fa seguire una parola, un gesto, un’azione che influenza lo stato e il comportamento dell’altro.

In questa prospettiva ben vengano i contributi che possono arrivare da discipline diverse che hanno impostato metodi, tecniche e strumenti per cercare di indagare la realtà dell’essere umano (aspetto multidisciplinare), ma ancora più ben vengano i contributi frutto dello scambio metodologico e delle interazioni di modelli, concetti e tecniche di analisi tra le singole discipline (aspetto interdisciplinare).

Per avvicinarsi a comprendere la realtà dell’essere umano, dei suoi comportamenti e dei suoi modi d’essere più profondi non possiamo fermarci alla mera operazione descrittiva del comportamento visibile, secondo i tradizionali parametri oggettivi e misurabili, ma è necessario prendere in considerazione e quindi analizzare, formulare delle ipotesi su alcune condizioni del suo essere più profondo, come pensieri, sentimenti e aspirazioni che pur non visibili e misurabili rappresentano e orientano le sue scelte, le sue propensioni e certamente anche i suoi comportamenti e per far ciò è necessario ammettere come legittima e significativa la soggettività, come fattore costitutivo della natura umana e dei metodi di indagine. Questo implica la delicata questione legata al fatto che l’osservatore influenza il campo di osservazione con grandi limiti nella riproducibilità degli esperimenti e delle osservazioni stesse.

L’interdisciplinarità è il lavoro che si compie per risolvere i problemi tipici di una disciplina con i mezzi necessari allo scopo e disponibili da ogni altra disciplina; consente di superare i limiti e l’illusione della specializzazione, andando al di là delle divisioni tra discipline, storicamente e teoricamente date; apre lo spazio a diventare studiosi non di materie, ma di problemi e dei modi per risolverli; rimanda a un concetto epistemologico (filosofia della scienza) di unità di fondo della scienza; prevede, oltre ai dati fenomenici, l’esistenza di profonde strutture del pensiero, categorie cognitive in grado di spiegare e organizzare la diversità fenomenica attraverso procedure logiche, come seriazione, classificazione, tempo, causa, etc.

L’epistemologia (epistemia = scienza / logos = discorso) o filosofia o teoria della scienza ha come oggetto le teorie scientifiche coi loro principi, metodi, ipotesi e risultati, diretto alla determinazione del loro valore e portata. Pur avendo ogni scienza un suo statuto epistemologico, l’interdisciplinarità offre una opportunità come paradigma della sintesi tra singoli domini disciplinari, come esperienza conoscitiva possibile tra trascendentalità e immanenza, tra dimensione soggettiva e oggettiva.

L’approccio interdisciplinare tenta di superare un’antica e ancora presente contrapposizione tra oggetto (campo di attenzione privilegiato delle scienze regolato dal principio di causalità) e soggetto, che indaga e che è indagato (ammettendo come legittima la soggettività, come dimensione da indagare per comprendere gli aspetti non visibili del comportamento connessi ai temi della coscienza e della rappresentazione mentale della realtà).

Andare verso una visione globale dell’essere umano significa cercare di comprendere la dimensione fisica e biologica della condizione umana con i contributi della biologia, della medicina e della genetica; ma non basta, in questa ricerca di conoscenza dell’essere umano  è necessario esplorare la sua dimensione psichica e relazionale con i contributi della psicologia, della sociologia, della pedagogia e dell’antropologia culturale; ma non basta, non ci si può limitare alla sua dimensione orizzontale, nella relazione con gli altri esseri umani, è necessario esplorare l’essere umano nella sua dimensione verticale o spirituale, nella relazione che l’essere umano stabilisce con Dio, con la trascendenza, con i contributi della teologia e della fede che aprono a una prospettiva più ampia.

2.3. Il riferimento a metodi noti

La ricerca e la definizione di un metodo, mèta-odòs, come via, cammino, per arrivare a un determinato fine non indica tanto gli strumenti, i mezzi, le tecniche, quanto il tracciato del cammino, cioè i procedimenti più consoni entro l’ambito che si vuol considerare.

Molto noto è il metodo scientifico; in effetti possiamo distinguere più metodi scientifici che sono applicabili, anche in modo complementare, in contesti diversi. Si ricordano il metodo descrittivo (raccoglie e razionalizza i dati sia qualitativi sia quantitativi in modo morfologico, classificatorio, di misura, statistico), quello sperimentale (si osserva e si analizza un fenomeno, riproducendolo in laboratorio e controllandone lo sviluppo, dopo aver isolato le sue variabili), quello per modelli (permette di interpretare in modo analogico oppure in modo formalizzato e usando strumenti matematici, i dati raccolti, così da poter estendere il modello ad altri sistemi).

Ciò che distingue la ricerca scientifica da qualsiasi altra attività del pensiero è il metodo di indagine che essa utilizza. Questo metodo, comunemente indicato come metodo scientifico (o metodo sperimentale), consiste, fondamentalmente, nell’analisi sistematica, attraverso l’osservazione e la sperimentazione di un fenomeno e l’interpretazione dei dati ad esso correlati. Il metodo scientifico è un procedimento di indagine ordinato, ripetibile, autocorreggibile e prevede pertanto un suo percorso di osservazione, riproducibilità e verifica dei risultati.

In realtà l’osservazione non è mai pura, ma sempre in funzione di un’ipotesi o congettura, talora anche di un pregiudizio, che precede l’osservazione; ipotesi formulata per risolvere un problema (dal greco  pro= avanti + ballo= getto) che costituisce qualsiasi situazione pratica o teorica, per la quale non ci sia una risposta adeguata automatica o abituale; qualsiasi domanda cui si cerchi una soluzione; un problema è una contraddizione tra una nostra aspettativa e un pezzo di realtà, tra aspettative e ipotesi o tra congettura e un fatto; e da questo parte la ricerca scientifica. Diventa allora utile occuparsi di problemi e non di discipline e la storia della scienza è pertanto la storia di teorie falsificate e quindi di nuovi problemi.

Il metodo scientifico avanza per queste tre fasi: problemi, teorie, critiche ovvero attraverso la formulazione di ipotesi per spiegare o risolvere un problema, l’osservazione dei dati e la verifica dei risultati che confermano o falsificano l’ipotesi iniziale. Ragiona da scienziato non chi cerca affannosamente i fatti a conferma di un’ipotesi, ma chi con tenacia tenta di falsificare una ipotesi: occorre il rischio del fallimento. Teorizzare è inventare ipotesi, trovare livelli di spiegazioni più adeguati per comprendere e risolvere problemi. E’ necessario falsificare le teorie per scoprirvi degli errori, da eliminare proponendo una teoria migliore.

Il metodo scientifico è la ricostruzione della logica della ricerca, dei passaggi logici del processo investigativo del ricercatore, le metodiche invece sono le svariate tecniche di prova che si architettano per vedere se una ipotesi regge o non regge; nel corso della loro ricerca gli scienziati modificano i loro metodi, i loro procedimenti, i loro criteri di razionalità nello stesso modo in cui modificano i loro strumenti di misura e le loro teorie.

Il metodo della ricerca-azione si inserisce nell’ambito della ricerca partecipante; si è sviluppata soprattutto in ambito educativo e sociale. La ricerca-azione consiste nello studio sistematico dei tentativi intrapresi da gruppi di operatori per cambiare e migliorare la prassi educativa sia attraverso le azioni pratiche messe in atto sia attraverso la riflessione da loro svolta sugli effetti di queste azioni. E’ una ricerca in cui vi è un’azione intenzionale di cambiamento della realtà che la produzione di conoscenze condivise renderà praticabile. L’obiettivo è di fornire un aiuto per cambiare delle condizioni giudicate insoddisfacenti da parte dei soggetti stessi; l’idea centrale è quella di coinvolgere subito nei processi di ricerca i soggetti implicati in una situazione problematica per individuarne le possibili soluzioni, progettandole e realizzandole in collaborazione con i ricercatori.

Il problema sorge all’interno della comunità che lo definisce, lo analizza e lo risolve; lo scopo è la trasformazione della realtà sociale e la modificazione dei comportamenti di chi vi fa parte; la ricerca esige la partecipazione di tutta la comunità coinvolta nell’indagine e durante tutto il processo; le procedure tendono a stimolare una maggiore consapevolezza dei partecipanti rispetto alle loro risorse e alle possibilità di mobilizzarle; tale coinvolgimento della comunità offre una maggiore autenticità e completezza all’analisi della realtà sociale; il ricercatore partecipa alla ricerca a fianco degli altri, apprende durante la ricerca coinvolgendosi nei processi analizzati, non è un osservatore distaccato, ma partecipa in modo attivo alla situazione e all’azione che contribuisce a far procedere in modo integrato verso una visione d’insieme. Gli  interventi del ricercatore (modalità e strumenti) si inseriscono  come variabili che alterano-modificano il sistema di relazioni e il sistema culturale in cui la comunità vive.

La riflessione in corso d’opera e le continue correzioni di rotta, consentono l’eliminazione dell’intervallo che si crea tra il momento dell’analisi dei dati e la loro applicazione; consente di produrre un cambiamento contestuale (circolarità tra azione conoscitiva e azione volta al cambiamento), in quanto chiama in causa i destinatari dell’intervento, non come consumatori della conoscenza data, ma come presenze attive (attori) e competenti. La ricorsività della raccolta dei dati avviene non secondo sequenze lineari, ma a spirale: pianificazione-esecuzione-valutazione e nuova pianificazione; privilegia tecniche di rilevazione di tipo qualitativo come l’osservazione partecipante, il colloquio non direttivo clinico, i racconti delle storie di vita, le tecniche proiettive, il gioco dei ruoli.

2.4. La ricerca fenomenologica

Costituisce un modo per indagare nelle scienze sociali e nell’educazione la capacità del soggetto di attribuire senso al mondo ovvero la sua intenzionalità. La ricerca fenomenologica mira alla relazione tra il soggetto che osserva e indaga fenomeni della realtà, e come questi fenomeni si rivelano al soggetto stesso. Il focus è sul vissuto, sulla ricostruzione della visione del mondo dei soggetti coinvolti nella ricerca. Il ricercatore è implicato direttamente attraverso la disponibilità all’epochè, ovvero al tentativo di sospendere i propri pre-giudizi e anche la propria visione del mondo per cercare non tanto di spiegare l’altro quanto di comprenderlo. L’epochè costituisce solo un orientamento, un’idea regolativa della propria azione essendo molto difficile da realizzare.

Viene privilegiata la ricerca qualitativa in profondità piuttosto che quella quantitativa su vasta scala. Non si tratta di ricercare leggi o conoscenza oggettiva, ma di utilizzare strumenti in grado di esplorare la dimensione concreta del quotidiano, dell’esserci degli individui unici e irripetibili. L’esperienza vissuta, la normalità del quotidiano, il vissuto, è il cuore del processo conoscitivo fenomenologico in cui ricercatore e ricercato stabiliscono una relazione significativa con l’entropatia del ricercatore, intesa come capacità di accedere e di comprendere la diversità dell’altro, indagando il processo di attribuzione di significato agli eventi della vita e come questi a loro volta influenzano la coscienza dei soggetti; in altri termini si tratta di capire in che modo i soggetti intenzionano gli oggetti, gli altri soggetti e anche se stessi.

Il ricercatore a sua volta, nel processo di epochè, percepisce i limiti del proprio punto di vista e indaga non solo la realtà, ma lui stesso che analizza la realtà.

Centrale nel lavoro di ricerca sociale è la metodologia interpretativa dei fenomeni e, partendo spesso da un progetto di cambiamento o miglioramento, si ha la necessità di rivedere, via via che la ricerca procede, metodi, strumenti e talora anche obiettivi in funzione di ciò che la ricerca stessa rende evidente e condiviso ai soggetti implicati.

L’approccio fenomenologico-ermeneutico è oggi sempre più attuale anche in relazione alla crescita di una società multiculturale, in cui centrale diventa la dimensione culturale di cui i soggetti sono portatori, ovvero la rete di significati in cui ogni individuo è inserito. Campo di applicazione dell’approccio fenomenologico è quello educativo e della formazione. L’educatore, il formatore è impegnato nell’incontro con l’altro, nella sua diversità con pari dignità e reciprocità con l’obiettivo di aiutare la persona a realizzarsi guidandola alla riflessione e alla responsabilità, senza valutarla.

Motivazione, intenzione e progettualità sono la prospettiva del futuro di tipo teleologico in grado di andare oltre la ricerca di causa-effetto più orientata al passato, recuperando la dimensione soggettiva dell’agire. Il confronto sui risultati non si fonda tanto su criteri oggettivi, ma su criteri intersoggettivi, anche se sul piano del metodo si possono applicare strumenti quantitativi. Le apparenti opposizioni logiche e linguistiche si ricompongono in unità di esperienze polari compresenti nella realtà dei soggetti come accettazione e cambiamento, sicurezza e rischio, autorità e libertà, spontaneità e organizzazione, controllo e immediatezza.

Il vincolo, ad esempio di contesto organizzativo, si presenta come opportunità di sperimentazione del soggetto di altre potenzialità, recuperando l’errore come valore per correggere in itinere i progetti, aprendo al rischio, all’imprevisto e alla complessità.

Superata l’idea di separare l’osservatore e il fenomeno, pur non potendo liberare tutti i nostri pre-giudizi è utile esplicitarli per poter costruire nuova conoscenza. Il ricercatore fenomenologico si muove nella contraddizione di tentare di trovare spunti di coerenza in una certa realtà ricorrendo a inevitabili semplificazioni, che una volta formulate si rendono inaccettabili, perché non in grado di comprendere la complessità e multidimensionalità della realtà che si sta indagando.

2.5. Oltre i confini della scienza tradizionale

Dentro questo dinamismo della ricerca scientifica e dei suoi metodi è da considerare superata l’idea che sia «scientifico» solo un determinato metodo; anzi, è «ascientifico» il trasferimento di un metodo valido in alcune discipline o per risolvere determinati problemi (per esempio i saperi di tipo dimostrativo o empirico), ad altro, proprio perché altrimenti ricadremmo nel primato del neo-positivismo, che ha considerato come non-sense tutto il sapere non riconducibile alla dimostrazione o alla sperimentazione e, di conseguenza, all’uso di proposizioni meramente logiche o empiriche.

La storia della scienza ha riportato alla luce la validità di tutti i metodi, anche di quelli che non si identificano con l’approccio sperimentale o empirico. Ma anche superando i limiti della dimostrazione empirica e riproducibilità degli eventi è necessario andare oltre:

La scienza si pone il problema di descrivere come funziona l’oggetto del suo campo di osservazione e non si pone il tema del perché; la critica positivistica era giunta alla conclusione che la scienza non dovesse mai porsi la domanda perché, in quanto avrebbe aperto il terreno alla metafisica uscendo dai confini della vera scienza positiva; ma forse la spiegazione di un fenomeno non può considerarsi completa se non risponde, o tenta di farlo, anche alla domanda: «perché questo avviene?».

La scienza non ci dice cosa dobbiamo fare, è esplicativa e non valutativa, ma le applicazioni di alcune ricerche hanno delle implicazioni sul contesto ambientale, sulla natura e sull’essere umano che non possono non impegnare il ricercatore: quali effetti-conseguenze nell’esplorare alcuni campi?

Teorie e metodi di ricerca sono influenzati anche dai modelli e dai valori dominanti del contesto culturale e di società, che definiscono quale progetto d’uomo e quale gerarchia di valori, ovvero quali comportamenti sono ritenuti desiderabili: quale visione dell’uomo c’è dietro chi orienta gli investimenti e di conseguenza i campi di ricerca? Oggi ad esempio prevale quella dell’uomo-utile se produttivo e consumatore, rispetto a quella dell’uomo-valore con la sua libertà e responsabilità?

Accanto alle spiegazioni in termini causali e di funzionamento di un oggetto di studio e di ricerca, è importante cercare anche di comprenderlo in termini di scopi (concezione teleologica del mondo): c’è un fine nell’ordine della natura, della storia e della vita individuale?

Se prendiamo ad esempio un singolo essere umano, comprendere se stessi può significare andare oltre la conoscenza delle proprie caratteristiche biologiche, genetiche, psicologiche, sociali, antropologiche; pur partendo dall’osservazione e dalla riflessione su comportamenti, fatti ed eventi, è necessario sintetizzarne la storia e l’esperienza, ricercando e dando un senso, un significato alla propria vita; individuarne il fine, la direzione degli sforzi, della gioia e della sofferenza con una tensione non solo orizzontale verso gli altri essere umani, ma anche verticale verso Dio?

2.6. Rapporto tra scienza e fede

Trattare del rapporto odierno tra la scienza e la fede può essere complicato senza un chiarimento terminologico. Il termine «scienza» può assumere significati molto diversi a seconda degli interlocutori e del back-ground culturale di ciascuno di essi. Seppure si possa ritenere superata la posizione scientista che considera il termine applicabile unicamente a quei campi del sapere in cui è adottabile l’assioma della riproducibilità, non mancano ancora degli scienziati che, assolutizzando il ruolo delle scienze naturali nello studio dell’essere umano e di tutto il reale, ritengono inapplicabile il termine al di fuori di tale ambito. Noi riteniamo più corrispondente alla realtà delle cose la definizione di scienza come qualsiasi campo del sapere che abbia un suo oggetto di studio e un metodo proprio, includendo in tal modo tutte le possibili aree di conoscenza: dalla matematica alla teologia.

Anche il termine fede risulta fuorviante: se intendiamo i dogmi della fede ne restringiamo molto il campo, mentre se consideriamo la «spiritualità» generica ne perdiamo i confini rischiando di cadere nel relativismo. Con il termine fede il cristiano intende una delle tre virtù teologali e precisamente quella in cui con un atto libero ogni essere umano aderisce alla rivelazione fatta da Gesù Cristo; la fede è contemporaneamente dono di Dio e virtù da coltivare.

Sicuramente, trattando del rapporto tra scienza e fede, nel mondo attuale si intende valutare l’interazione tra le scienze umane e naturali, che forniscono sempre più rapidamente nuove conoscenze, e il contenuto della fede: cioè quello che si crede ovvero la Rivelazione stessa. Si intende cioè sondare quella terra di confine tra le realtà visibili o misurabili (fisiche) e quelle invisibili e incommensurabili (spirituali). Tuttavia questo terreno dai contorni sfumati non è riconosciuto da tutti proprio perché non da tutti è riconosciuta la validità e la veridicità della Rivelazione: per questi spesso la scienza è incompatibile con le verità di fede ed è completamente autosufficiente e in grado di spiegare, in atto o potenzialmente, ogni aspetto della natura e dell’uomo. Questo atteggiamento riduzionista si contrappone con la visione cristiana che ritiene che le scoperte anche più incredibili derivate dallo studio scientifico non siano mai in contrasto con le verità rivelate perché provengono entrambe dall’unico Dio. Questa evidenza è stata espressa da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio in cui, riportando uno stralcio di un proprio discorso alla pontificia accademia delle scienze, afferma trattando di uno dei casi più controversi della storia della Chiesa: 

[Galileo] ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi «procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio» come scrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613. Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio Vaticano II: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede […] secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio» (Gaudium et spes, 36). Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel profondo del suo spirito.[14] 

L’autonomia delle scienze non è messa in discussione, anzi è necessaria per il corretto sviluppo delle stesse; questa affermazione è chiaramente riscontabile nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II dove al numero 36 leggiamo: 

Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l’autonomia degli uomini, delle società, delle scienze. Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avverta viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.[15]

Poste queste basi necessarie per inquadrare l’atteggiamento dello scienziato cristiano rispetto alla Rivelazione, è necessario ragionare su un altro tipo di rapporto: quello tra le scienze naturali e la teologia. Molti autori si sono occupati di approfondire questa relazione che risulta fondamentale se si vuole arrivare a comprendere la realtà.

Lambert[16] nei suoi scritti presenta tre possibili rapporti: il concordismo, il discordismo e l’articolazione. Il primo «consiste nel porre su uno stesso livello ovvero nel confondere il linguaggio scientifico con quello teologico»,[17]  ritenendo che scienza naturale e teologia siano sullo stesso piano con gli stessi obiettivi di ricerca. L’autore riporta gli esempi del concordismo esegetico che trova e impone alla scienza delle verità astronomiche o biologiche tratte dalla Bibbia; anche le teorie del «Dio tappa buchi» in cui «il discorso teologico è usato per colmare le lacune che vi sono nella scienza» non sono appropriate in quanto «trasformano Dio in una causa interna al mondo».[18] Utilizzando il criterio del concordismo si creano degli atteggiamenti naturalistici, panteistici e materialisti o creazionisti estremi sul modello americano.

Il secondo modello, detto del discordismo, vede i due piani completamente separati senza alcun punto comune, dove la scienza naturale si occupa dell’empirico senza preoccuparsi o considerare in nessun modo il campo spirituale affidato allo studio teologico.

Dal punto di vista teologico, l’adozione di un discordismo potrebbe privare la teologia di ogni fondamento naturale […], di ogni radicamento empirico. Una tale concezione potrebbe avere gravi conseguenze etiche (minerebbe il fondamento naturale delle leggi morali), ma anche sociali, poiché giustificherebbe la radicale autonomia di un gruppo di esperti, unici giudici delle scelte e delle finalità delle ricerche scientifiche.[19]

Il terzo tipo di rapporto, l’articolazione, vede affermata l’autonomia propria dei due campi del sapere, riconoscendo tuttavia la possibilità e la necessità di una interazione reciproca: le scienze naturali possono migliorare la semplice concezione del creato che deriva dalle Sacre Scritture e dall’approfondimento teologico e aprirsi ad una concezione sulla realtà non limitata alla visione derivata dal proprio ambito, ma allargata dove la teologia può intervenire impedendo la chiusura e permettendo la traslazione del discorso in ambito metafisico ed etico.

La modalità dell’articolazione potrebbe essere pensata come una mediazione operata da un’ermeneutica della natura (sottolineando il carattere rivedibile dei suoi fondamenti, in quanto intimamente legati ai contenuti scientifici di un’epoca determinata). La teologia apporterebbe un supplemento di senso e di intelligibilità all’immagine del mondo che questa ermeneutica sarebbe stata in grado di ricavare dalle scienze.[20]

Un altro autore che si è occupato di questo argomento è Bernard Lonergan[21]. Egli si spinge ancora oltre le tesi precedenti, affermando che se le scienze hanno come oggetto materiale lo studio dei fenomeni della natura, inevitabilmente devono considerare il peccato umano, sia nella sua forma abituale (presente oggi nel mondo) che originale (causa della caduta dell’uomo nelle condizioni di vita attuali che non erano quelle originariamente pensate da Dio), come parte in causa della situazione attuale dell’uomo: da qui deriva la necessità di una Grazia che può essere accettata o rifiutata. Per Lonergan, la teologia acquista un primato sulle altre scienze in quanto qualsiasi altro campo specifico del sapere, progredendo nella comprensione della realtà senza poterla comprende totalmente, necessiterà di cercare le risposte ultime all’esterno.[22] Supponendo anche che una scienza arrivi al suo massimo grado di profondità e conoscenza comprenderebbe semplicemente il rimedio al male specifico che quella scienza studia, ma la comprensione di tale male in sé non può stare in un’iniziativa umana, ma solo in un’accettazione della soluzione che Dio ha voluto, comprensibile solo attraverso una riflessione teologica.[23] Questo non vuol dire che la teologia sia il sostituto della scienza umana empirica, anche perché la sua indagine esula dalle conoscenze specifiche di ogni singolo campo del sapere, ma altresì significa che permette un ampliamento delle singole vedute, arricchendole, rivelando la reale possibilità di soluzioni ragionate ai problemi umani, non prescindendo dall’uso dell’intelletto. Il teologo acquista un ruolo da intermediario dove «egli è in una condizione non solo di incoraggiare gli scienziati alla completa fedeltà alla loro chiamata, ma anche di insegnare ai non scienziati l’alto servizio dello spirito scientifico».[24] Su queste basi Lonergan definisce la sua idea di metodo nella teologia, definito trascendentale perché si tratta di scoprire quel nucleo di verità che sta alla base di tutte le domande e di tutte le risposte, si tratta di comprendere che alla base di ogni campo del sapere c’è l’intelletto umano e comprendendone il funzionamento è possibile strutturare un metodo valido per ogni branca del sapere.[25]

Gli autori analizzati evidenziano come sia necessario aprirsi al trascendente anche per le scienze empiriche. Tuttavia questo risulta possibile solo se si accetta una visione antropologica aperta al trascendente, come quella cristiana, che ci permetta una reale visione olistica dell’essere umano. Molti sono gli studiosi contemporanei impegnati sul fronte del dialogo aperto e rispettoso tra la scienza e la teologia e che rifiutano l’idea che non si possa essere dei veri scienziati se si aderisce a Cristo e alla Sua Rivelazione.[26]

Infine, una volta accertato il ruolo fondamentale di tutte le branche del sapere nella comprensione del reale, è necessario chiedersi come le varie scienze possano collaborare quando non solo i metodi usati, ma anche gli oggetti di studio sono multiformi: questa interdisciplinarietà non è necessaria per il progredire delle singole aree di conoscenza, ma lo diventa se si vuole comprendere il «perché» delle cose. Le varie scienze naturali non hanno gli strumenti metodologici adeguati per riuscire a cogliere la finalità dei vari oggetti di studio: pensando, a titolo di esempio, alla medicina, la si può ritenere in grado di curare quasi tutte le malattie, attualmente di guarire alcune persone e potenzialmente molte di più in futuro, però non la si potrà mai ritenere capace in se stessa di dare un significato non solo al perché esistano le infermità, ma anche alla sofferenza umana. Questa situazione si può applicare a tutti gli ambiti scientifici, perfino alla matematica dove l’ordine preciso riscontrato in quell’ambito non trova una giustificazione in se stesso. Quindi, nel tentativo di comprendere il reale non solo nel «come» funziona, ma anche nel «perché» funziona così, le scienze naturali hanno il compito non di creare delle proprie teorie interne, ma di presentare le proprie scoperte e le proprie intuizioni alla teologia, unica ad avere quegli strumenti necessari per relazionare le scoperte scientifiche con il piano salvifico di Dio per il genere umano, al fine di orientare e guidare la ricerca scientifica nella sicurezza che tutto ciò che è voluto da Dio porterà frutto migliorando la condizione umana con scoperte sempre più utili, mentre tutto ciò che è lontano da Dio non potrà che portare a danni maggiori, oltre che essere una via più ardua da percorrere.

 

2.7. Note bibliografiche  

Binswanger L., Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, Feltrinelli, Milano 2007.

Buber M., Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1993.

Cantelmi T. – Laselva P. – Paluzzi S., Psicologia e teologia in dialogo. Aspetti tematici per la pastorale odierna, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2004.

Concilio Vaticano II, Gudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7 Dicembre 1965, in AAS 58 (1966), pp. 1025-1115.

Elliott J. – Giordan A. – Scurati C.,  La ricerca-azione. Metodiche, strumenti, casi, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

Gadamer H.-G., La responsabilità del pensare. Saggi ermeneutici, Vita e pensiero, Milano 2002.

Giovanni Paolo II, Fides et ratio, Lettera Enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, 14 Settembre 1998, in AAS 91 (1999), pp. 5-88.

Husserl E., I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo, Quodlibet, Macerata 2008.

Lonergan B.J.F., Il Metodo in Teologia, Città Nuova, Roma 2001.

Lonergan B.J.F., Insight. Uno studio del comprendere umano, Città Nuova, Roma 2007.

Martínez R. – Sanguineti J. J., Dio e la natura, Armando Editore, Roma 2002.

Morin E.,  Il metodo ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, Milano 1977.

Popper K.R., Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972.

Stein E., La struttura della persona umana, Città nuova, Roma 2000.

von Foerster H., Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma 1987.

  1. Questione semantica

La funzione essenziale del linguaggio verbale (sia esso parlato o scritto) è quella di trasmettere dei concetti tra soggetti diversi attraverso l’uso di parole (o segni) a cui vengono attribuiti significati specifici. Per un corretto dialogo (o scambio di informazioni) è necessario, dunque, che alle parole utilizzate nella comunicazione siano attribuiti i medesimi significati da tutti coloro che prendono parte ad essa.

In un contesto interdisciplinare (o multidisciplinare), tale esigenza è ancora più forte: bisogna compiere lo sforzo di comprendere la terminologia specifica delle varie discipline (e viceversa spiegare al meglio il significato dei termini utilizzati), ma bisogna anche tentare di uniformare il linguaggio per evitare di indicare, con i medesimi termini, realtà diverse.

Ad esempio, la parola possessione è utilizzata in ambito psichiatrico per indicare uno stato alterato della coscienza, più propriamente un Disturbo da Trance Dissociativa (cf DSM-IV, Appendice B). In ambito teologico, invece, si utilizza in riferimento alla possessione diabolica, una realtà che può presentarsi con caratteristiche fenomenologiche molto diverse, in quanto la persona – anche se posseduta – rimane cosciente ed ha il ricordo di ciò che è avvenuto durante la possessione.

3.1. Glossario

Anima

Principio vitale degli esseri animati, di cui costituisce la dimensione immateriale (formale), dotato di specifiche facoltà che possono essere esercitate mediante l’uso del corpo o senza di esso. Nell’uomo tali facoltà sono la memoria, la volontà, l’intelletto e i sensi.

Contemplazione

Indica la conoscenza di Dio da parte dell’uomo, che sarà piena e perfetta soltanto nell’aldilà. Durante la vita terrena vi può essere per l’uomo anche un’esperienza di contemplazione, che è puro dono di Dio, e che avviene abitualmente dopo un certo periodo di pratica ascetica. Essa consiste nella comunicazione che Dio fa di sé, in modo quasi impercettibile, all’anima, la quale viene perfezionata nella fede e nella speranza e trasformata nella carità. Lo stato di vita contemplativa, invece, indica quella forma di vita che tende a disporre l’anima alla contemplazione e a favorirne lo sviluppo, qualora fosse concessa da Dio.

Corpo umano

Insieme anatomico degli apparati (a loro volta intesi come insieme anatomico di più organi) che costituiscono la struttura fisica dell’uomo; tale insieme diviene funzionale e si comporta come organismo vivente solo se reso vivo dall’anima.

Esperienza mistica

Nella teologia cattolica indica l’intervento soprannaturale di Dio nell’anima umana, attraverso particolari doni dello Spirito, come ad esempio la contemplazione infusa, le visioni, le locuzioni, i sentimenti spirituali, le estasi, le stigmate. 

Fede

In senso lato è l’accettazione di una verità basata sull’autorità indiscussa di qualcuno o su una convinzione personale, anziché su prove oggettive o logiche. In religione, la fede è una scelta con cui si riconosce non in sé stessi, ma in Dio (e nella sua parola rivelata) il fondamento della vita; solitamente implica la sottomissione a contenuti dottrinali e l’inserimento in una comunità gerarchica. Nella teologia cattolica con il termine fede si intende una delle tre virtù teologali e precisamente quella in cui con un atto libero ogni essere umano aderisce alla rivelazione fatta da Dio; la fede è contemporaneamente dono di Dio e virtù da coltivare.

Intelletto

Facoltà dell’anima che ci permette di pensare, comprendere e formare concetti, e giudicare.

Interdisciplinare

Riguarda i contributi di conoscenza frutto dello scambio metodologico e delle interazioni di modelli, concetti e tecniche di analisi tra le singole discipline.

Meditazione

Indica l’intensa e prolungata concentrazione della mente sopra un oggetto del pensiero, un problema, un argomento. In ambito religioso l’argomento è in relazione alle realtà divine e a quanto ad esse correlato. In ambito cattolico indica soprattutto una ricerca: lo «spirito» cerca di comprendere il perché e il come della vita cristiana per aderire e rispondere a ciò che il Signore chiede. Attraverso l’intelletto, la meditazione mette in azione il pensiero, l’immaginazione, l’emozione e il desiderio e muove la persona alla conversione.

Mente

Complesso delle facoltà psichiche, cioè delle facoltà intellettive e volitive che si integrano in maniera dinamica nella psiche umana.

Metodo

a) Il modo, la via, il procedimento seguito nello svolgere una qualsiasi attività, secondo un ordine e un piano prestabiliti in vista del fine che s’intende raggiungere: d’indagine, di studio; applicare, seguire un metodo.

b) Procedimento di indagine tipico di specifici ambiti culturali, particolarmente scientifici, e anche l’insieme di regole, di tecniche, di istanze di verifica e di controllo, che caratterizzano tale procedimento e garantiscono la validità (o almeno la plausibilità) dei risultati.

Multidisciplinare (= pluridisciplinare)

Riguarda i contributi di conoscenza che possono arrivare da discipline diverse che hanno impostato metodi, tecniche e strumenti per cercare di indagare la realtà dell’essere umano. 

Ossessione

Sintomo psichico, esperito a livello mentale e quindi non obiettivabile, persistente o ricorrente, egodistonico, incoercibile, riconosciuto come intrusivo e inappropriato. Va distinto dal sintomo spirituale di origine diabolica che presenta caratteristiche simili, ma origini diverse. Gli ossessi nella legislazione ecclesiastica sono quelle persone che nella prassi pastorale esorcistica vengono chiamate «posseduti» e in questo caso il sintomo può essere esperito anche a livello corporeo.

Possessione

In teologia si utilizza per indicare la condizione in cui una creatura angelica, per permissione divina, prende possesso del corpo di una persona umana, servendosi di esso per agire o per comunicare. La possessione non può riguardare direttamente l’anima, tanto meno la volontà della persona che è sempre responsabile dei propri atti morali. Spesso la persona è cosciente di essere posseduta e, pur non volendolo interiormente, non può impedire al corpo di muoversi, senza tuttavia compiere con esso atti contrari alla sua coscienza. Caso diverso – riconosciuto anche dalla teologia – è il delirio di possessione, che la scienza medica considera un fenomeno psicopatologico che si manifesta specialmente in soggetti schizofrenici e paranoici e in quanto delirio la persona è convinta di essere posseduta senza che questo trovi un riscontro nella realtà.

Problema

Ogni quesito teorico o pratico di cui si ritenga necessaria o si proponga la soluzione. Un problema (dal greco  pro= avanti + ballo= getto) costituisce qualsiasi situazione pratica o teorica, per la quale non ci sia una risposta adeguata automatica o abituale; qualsiasi domanda cui si cerchi una soluzione; un problema è una contraddizione tra una nostra aspettativa e un pezzo di realtà, tra aspettative e ipotesi o tra congettura e un fatto; e da questo parte la ricerca scientifica.

Psiche

Complesso delle funzioni e dei processi mentali che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo, traducendosi in rappresentazioni di eventi, fatti ed entità, nonché in bisogni, desideri e atti volitivi. In filosofia e nel linguaggio comune, spesso il termine è usato come sinonimo di anima. 

Ragione

Facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e, al tempo stesso, facoltà che guida a giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce in parte il controllo dell’istinto e delle passioni. 

Santità

Nella teologia cattolica, in generale indica la condizione oggettiva di unione a Dio conseguente al battesimo. In specifico indica la condizione soggettiva di quei battezzati che, essendosi esercitati nella virtù e nella preghiera, hanno vissuto la carità in modo perfetto, ossia si sono abitualmente e prontamente disposti a compiere la volontà di Dio in qualsiasi circostanza.

Scienza

Qualsiasi campo del sapere che abbia un oggetto di studio e un metodo proprio adeguato. Sapere, dottrina, insieme di conoscenze ordinate e coerenti, organizzate logicamente a partire da principi fissati univocamente e ottenute con metodologie rigorose, secondo criteri propri delle diverse epoche storiche. Al plurale scienze è l’insieme delle discipline che, a partire da un’ipotesi, si fondano sull’osservazione, l’esperienza, la verifica, hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati. 

Sinolo [dal gr. sýnolon, comp. di sýn «con» e hólos «tutto»]

Termine aristotelico che designa la concreta sostanza concepita come sintesi di materia e forma. 

Spirito

In generale indica la dimensione immateriale (non materiale) di una realtà personale. Dio è puro Spirito. In riferimento alla vita cristiana indica la presenza dello Spirito Santo nell’anima. 

Trascendenza

Termine filosofico che, in opposizione a immanenza, designa l’andare oltre un determinato ambito preso come punto di riferimento. In genere, il concetto di trascendenza ha coinciso con quello di realtà soprasensibile, al di là del mondo; in ambito religioso, esso indica una concezione della divinità come «creatore assoluto e immutabile» rispetto al mondo e situata al di là di esso. 

Vessazione (allucinazione)

La teologia cattolica considera la vessazione un disturbo causato dal demonio al corpo di una persona (come ad esempio una voce o un rumore) o comunque nell’ambito esterno alla persona (p. es.: danni ad oggetti della persona; presenza di oggetti o animali). Di natura diversa è il disturbo psichiatrico detto allucinazione che, pur presentando una fenomenologia similare, è da considerare una percezione patologica di un oggetto inesistente (percezioni senza oggetto).

Volontà

La facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento in vista di un dato scopo. Si distingue dal libero arbitrio, cioè dalla semplice scelta tra possibilità diverse, per il fatto che è una attrazione naturale per il bene percepito dall’intelletto.

 

 

[1] Cf J. Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra, Lindau, Torino 2006, pp. 130-131.

[2] Nella Lectio Magistralis tenuta il 14 marzo 1979, in occasione della festa di San Tommaso d’Aquino, presso la Facoltà di Teologia cattolica dell’Università di Salisburgo, l’allora Card. Ratzinger illustrò con chiarezza tre tappe o momenti essenziali del passaggio dal medioevo alla modernità che hanno condotto, mediante un processo di allontanamento, attuato in forme di volta in volta diverse, alla rimozione della fede nella creazione del pensiero moderno. Egli evidenziò, inoltre, tre modi di occultare il concetto di creazione nel pensiero contemporaneo. Vedi J. Ratzinger, op. cit., pp. 113-128.

[3] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 12.

[4] «La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale; essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 366).

[5] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22. Tra i Padri della Chiesa, Sant’Ireneo di Lione esprime molto bene questa verità: «Nei tempi passati si diceva che l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, ma non appariva tale, perché era ancora invisibile il Verbo, ad immagine del quale l’uomo era stato fatto: e appunto per questo perse facilmente la somiglianza. Ma quando il Verbo di Dio si fece carne, confermò l’una e l’altra cosa: mostrò veramente l’immagine, divenendo egli stesso ciò che era la sua immagine, e ristabilì saldamente la somiglianza, rendendo l’uomo simile al Padre invisibile attraverso il Verbo che si vede» (Contro le eresie, V, 16,2).

[6] Nella dottrina di sant’Ireneo l’immagine di Dio nell’uomo fa riferimento alla sua costituzione ontologica (unità di anima e corpo) che, anche dopo il peccato, sebbene compromessa, non viene perduta. La «somiglianza», invece, fa riferimento al rapporto di comunione personale tra uomo e Dio, che, dopo il peccato, deve essere restaurata attraverso il dono dello Spirito Santo.

[7] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 13.

[8] «Tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).

[9] Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22.

[10] Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1998.

[11] Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, 40.

[12] Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2014.

[13] Ibid.

[14] Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 10 novembre 1979, in Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II, 2 (1979), LEV, Città del Vaticano 1979, pp. 1111-1112; riportato nell’enciclica Fides et Ratio, 34, nota 29.

[15] Il numero 36 prosegue: «A questo punto, ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro. Se invece con l’espressione ‘autonomia delle realtà temporali’ si intende che le cose create non dipendono da Dio, che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di lui nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa». Dello stesso argomento tratta anche il numero 56 della Costituzione Dogmatica Gaudium et spes: «Infatti la cultura, scaturendo dalla natura ragionevole e sociale dell’uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. A ragione dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia particolare sia universale, entro i limiti del bene comune. Il sacro sinodo, richiamando ciò che insegnò il concilio Vaticano I, dichiara che ‘esistono due ordini di conoscenza’ distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che ‘le arti e le discipline umane… si servano, nell’ambito proprio a ciascuna, dei propri principi e di un proprio metodo’; perciò, ‘riconoscendo questa giusta libertà’, la chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze. Tutto questo esige pure che l’uomo, nel rispetto dell’ordine morale e della comune utilità, possa liberamente investigare il vero, manifestare e diffondere la sua opinione, e coltivare qualsiasi arte».

[16] Dominique Lambert, dottore in Scienze fisico-matematiche (1988) e in Filosofia della scienza (1996). Vincitore nel 1999 del premio Georges Lemaître, ha scritto un capitolo del libro di Martínez e Sanguineti dal titolo Dio e la natura dove ha trattato del dialogo tra la scienza e la teologia. Le stesse figure esplicitate in questa sede sono state esposte nel convegno su «Dio e la natura» tenutosi a Roma nel Marzo del 2001 presso la facoltà di filosofia della Pontificia Università della Santa Croce.

[17] R. Martínez – J. J. Sanguineti, Dio e la natura, Armando Editore, Roma 2002, p. 13.

[18] Ibid., p. 14.

[19] Ibid., p. 15.

[20] Ibid., p. 20.

[21] Bernard J. F. Lonergan è stato uno dei più illustri studiosi gesuiti. Nato nel 1904, Canadese di origine, insegnò alla Università Gregoriana di Roma dal 1953 al 1965. Profondo conoscitore della teologia di San Tommaso, dedicò la sua vita allo studio di un metodo nuovo per la teologia che superasse l’approccio scolastico dell’epoca. La sue due opere principali sull’argomento (Insight. Uno studio del comprendere umano e Il metodo in teologia) avevano lo scopo di insegnare al lettore i procedimenti alla base dell’intelletto per poter acquisire degli strumenti d’indagine validi per ogni campo del sapere. Morì nel 1984.

[22] «Tuttavia, è forse meno comunemente apprezzato che lo sviluppo delle scienze umane empiriche ha creato un problema fondamentalmente nuovo. Infatti, queste scienze considerano l’uomo nella sua prestazione concreta e quella prestazione è una manifestazione non solo della natura umana ma anche del peccato umano, non solo della natura e del peccato ma anche del bisogno de facto della grazia divina, non solo di un bisogno della grazia ma anche della sua ricezione e della sua accettazione o rifiuto. Segue che una scienza umana empirica non può analizzare con successo gli elementi nel suo oggetto senza un ricorso alla teologia. Inversamente segue che se la teologia deve essere la regina delle scienze , non solo di diritto, ma anche di fatto, allora i teologi devono assumere un interesse professionale per le scienze umane e dare un preciso contributo alla loro metodologia» (B. J. F. Lonergan, Insight. Uno studio del comprendere umano, Città Nuova, Roma 2007, p. 920).

[23] «Infatti, supponiamo che qualche scienza del genere sia così altamente sviluppata da avere accertato le leggi classiche che rimangono valide agli specifici stadi di sviluppo umano, gli operatori genetici che mettono in relazione gli stadi successivi, l’analisi dialettica che considera differenti insiemi di conseguenze susseguenti rispettivamente a scelte umane ragionevoli e irragionevoli e le leggi statistiche che indicano le frequenze probabili di entrambi i tipi di scelta. Nondimeno, tale scienza umana offrirebbe non un’adeguata comprensione del proprio aspetto di attività umana, ma solo la misura del comprendere possibile dal punto di vista scientifico. Infatti, un’adeguata comprensione rivela la maniera in cui l’uomo può porre rimedio al male nella sua situazione. Tuttavia, la soluzione al problema umano del male è stata vista risiedere non in un’iniziativa umana, ma in un’accettazione che Dio ha procurato; e mentre la scienza umana empirica può condurre all’ulteriore contesto della soluzione, il trattamento sistematico della soluzione stessa è teologico. In una parola, la scienza umana empirica può divenire pratica solo attraverso la teologia e l’inflessibile impulso moderno all’ingegneria sociale e ai controlli totalitari è il frutto dello sforzo dell’uomo di rendere pratica la scienza umana, sebbene egli prescinda da Dio e dalla soluzione che Dio procura al problema dell’uomo» (ibid., p. 922).

[24] Ibid., p. 923.

[25] «Attraverso l’auto-conoscenza, l’auto-appropriazione, l’auto-possesso che risultano dall’esplicitare lo schema normativo fondamentale delle operazioni ricorrenti e connesse tra di loro del processo conoscitivo umano, diventa possibile intravedere un futuro nel quale tutti i lavoratori in qualsiasi campo potranno trovare nel metodo trascendentale norme, fondazione e sistematica comuni, nonché procedimenti critici, dialettici ed euristici comuni» (B. J. F. Lonergan, Il Metodo in Teologia, Città Nuova, Roma 2001, p. 56).

[26] A titolo di esempio si riporta uno stralcio tratto dal testo T. Cantelmi – P. Laselva – S. Paluzzi, Psicologia e teologia in dialogo. Aspetti tematici per la pastorale odierna, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2004, p. 16: «Il modello antropologico di cui oggi c’è bisogno è dunque quello di un’antropologia aperta verso la trascendenza. Un’antropologia capace di motivare l’impegno etico, ma anche scrutare nella persona umana i dinamismi che la rendono interrogativa e accogliente nei confronti del Mistero. La teologia ha posto a fondamento della svolta antropologica proprio una visione dell’uomo come essere dell’autotrascendenza».

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